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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXV - novembre 2023

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Fare del sostegno alla resistenza palestinese uno strumento per far avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese

Le mobilitazioni a sostegno della resistenza palestinese e contro i crimini dello Stato sionista a Gaza e in Cisgiordania si susseguono, nel nostro paese e nel resto del mondo. Noi comunisti dobbiamo estenderle, rafforzarle e indirizzarle contro il governo Meloni, trasformarle in ribellione, organizzazione e lotta per cacciare il governo complice dei sionisti, servo dei gruppi imperialisti USA-NATO e compare di quelli UE e sostituirlo con un governo di emergenza popolare.

Appoggiando la lotta del popolo palestinese contro i sionisti noi comunisti lottiamo per la nostra causa e ogni passo avanti che facciamo nella rivoluzione socialista del nostro paese è un aiuto che diamo anche alla lotta antimperialista e democratica del popolo palestinese. Dobbiamo cioè fare del sostegno alla resistenza palestinese uno strumento per far avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese, sul terreno pratico e delle idee, della coscienza: la nostra lotta è anche conquista delle menti e del cuore delle masse popolari e organizzazione delle masse attorno al Partito.

Sul terreno pratico, si tratta di

- estendere la mobilitazione: le manifestazioni di piazza, le proteste davanti alle sedi di ambasciate e consolati di Israele e degli USA, le denunce, le iniziative di lotta contro i complici dei sionisti come il blocco di porti, aeroporti e centri della logistica dove transitano le armi destinate ai sionisti, le occupazioni delle Università che hanno accordi di cooperazione con centri di ricerca, agenzie, aziende, enti privati e pubblici israeliani, il boicottaggio di prodotti e aziende israeliane (sul sito della campagna “Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni”, sono indicate alcune multinazionali e aziende che traggono profitto dal genocidio del popolo palestinese), ecc.;

- far conoscere sulla scala più ampia di cui siamo capaci le iniziative avanzate (in particolare quelle di cui sono protagonisti gli operai e altri lavoratori), in modo che ispirino, aprano la strada e mettano in moto altri gruppi e classi delle masse popolari, suscitino solidarietà ed emulazione;

- coordinare le iniziative di sostegno alla resistenza palestinese e contro i crimini dei sionisti di Israele, la lotta per mettere fine alla partecipazione del nostro paese alle missioni di guerra USA-NATO e alla sottomissione del nostro paese agli imperialisti USA (il protettorato USA accettato da Vaticano e De Gasperi nel 1947), la lotta contro la mano libera che le autorità della Repubblica Pontificia lasciano alle multinazionali e ai fondi di investimento USA (la vendita della rete TIM al fondo Kkr è solo l’ultima in ordine di tempo) e di altri paesi, la lotta contro il riscaldamento climatico e la devastazione dell’ambiente e le altre lotte in cui si articola la resistenza delle masse popolari al programma comune della borghesia imperialista.

Allo stesso tempo dobbiamo usare ogni occasione per rendere migliore, più elevata, più ampia e approfondita la comprensione che i nostri interlocutori hanno del corso delle cose (degli avvenimenti correnti, dell’attuale ordinamento sociale e delle sue basi ed evoluzioni, delle diverse classi della società italiana e dei loro rapporti e della lotta che si svolge tra queste classi, del ruolo che la classe operaia ha in questa lotta e del suo atteggiamento verso le varie classi e verso il passato e l’avvenire del capitalismo, della funzione storica del movimento comunista). A questo fine pubblichiamo ampi stralci dell’Avviso ai Naviganti 131 “Sionismo, masse popolari ebree residenti in Palestina, resistenza palestinese” diffuso il 26 ottobre dal Comitato Centrale del (n)PCI. Dal 7 ottobre infatti la classe dominante promuove una vasta campagna mediatica di manipolazione e intossicazione mascherate da informazione, analoga a quella che è seguita all’intervento militare in Ucraina lanciato dalla Federazione Russa il 24 febbraio del 2022. Dobbiamo contrastarla, dobbiamo combattere l’influenza politica e ideologica della destra borghese, dei fascisti, del clero e della sinistra borghese sulle masse popolari fino a romperla e rendere impossibile alla borghesia gestire la maschera democratica della sua dominazione. A questo fine possiamo avvalerci dell’opera di informazione e denuncia compiuta da numerosi sinceri democratici (esponenti della sinistra borghese: organismi e persone contrarie al corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista anche se non favorevoli all’instaurazione del socialismo). La simpatia verso la causa palestinese è di lunga data e i crimini dei sionisti sono tanti e tali per cui numerosi sinceri democratici denunciano l’occupazione sionista e il regime di apartheid contro la popolazione palestinese, la retorica del “diritto alla difesa” usata a corrente alterna (i due pesi e due misure) per cui varrebbe per l’Ucraina ma non per i palestinesi, le risoluzioni dell’ONU violate dai governi sionisti che si sono susseguiti in Israele, ecc. Ma soprattutto dobbiamo insegnare a usare il materialismo dialettico per comprendere la realtà, a ragionare in termini di classe, a superare il legalitarismo che intralcia lo sviluppo del movimento di trasformazione del paese, a scrollarsi di dosso attendismo e disfattismo.

- Far iniziare tutto dal 7 ottobre, cioè da quando Hamas e altre organizzazioni della resistenza palestinese hanno lanciato dalla Striscia di Gaza la loro controffensiva contro i sionisti, è uno dei cardini della campagna mediatica di intossicazione e manipolazione delle coscienze delle masse popolari (lo stesso è avvenuto con l’Ucraina: ignorati l’accerchiamento della Federazione Russa da parte della NATO, il colpo di Stato di Euromaidan, l’aggressione contro le popolazioni del Donbass...). Noi dobbiamo far valere la storia lunga 75 anni di occupazione sionista e lotta di liberazione del popolo palestinese per insegnare che ogni singolo evento ha una storia ed è legato ad altri aspetti della realtà: il senso reale di un evento dipende dal contesto di concatenazione (successione di causa ed effetti) e di sinergia (reciproca determinazione) di cui è parte. È un criterio generale, vale per ogni fabbrica che chiude, per ogni operaio morto sul posto di lavoro, per ogni pioggia che uccide e sommerge case e paesi, per ogni ponte crollato, ecc. che politicanti, pennivendoli e altri agenti della classe dominante spacciano per “cosa che è successa”, “caso a sé”, “disgrazia individuale”.

- All’identificazione dell’antisionismo con l’antisemitismo, del sionismo con i diritti degli ebrei dobbiamo opporre che essere antifascisti vuol dire anche essere antisionisti. I crimini dei sionisti eguagliano quelli dei nazisti a Guernica nel 1936, a Stalingrado e a Leningrado durante la Seconda guerra mondiale e dei nazifascisti alle Fosse Ardeatine: il sionismo è la versione ebrea del fascismo e del nazismo. In questo modo tracciamo anche una linea di demarcazione netta contro l’antifascismo padronale promosso in particolare dal PD e alimentiamo l’antifascismo popolare.

- La denigrazione di Hamas in nome degli aspetti arretrati della concezione che la guida non serve solo a nascondere e combattere il ruolo pratico positivo che Hamas e altre organizzazioni simili svolgono. Fa il paio con il metodo correntemente usato anche qui da noi dai padroni e dalle loro autorità: scegliersi come controparte individui e organizzazioni compiacenti, ligie alle esigenze e alle regole della classe dominante, che “abbaiano ma non mordono” per attaccare, denigrare, cercare di isolare chi mette al primo posto gli interessi delle masse popolari. Basta pensare a Marchionne contro la FIOM “sindacato ideologico” o agli attivisti di Extinction Rebellion e Ultima Generazione che diventano “ecoterroristi”. Se chi mi sfrutta e opprime parla male di qualcuno, nove volte su dieci quel qualcuno è dalla mia stessa parte della barricata!

- La solidarietà con il popolo palestinese bombardato, oppresso e vessato dai sionisti è il sentimento positivo che anima una parte importante di chi scende in piazza. La borghesia lo cavalca con le ONG e gli “aiuti umanitari” ai popoli che opprime (allo stesso modo in cui chiama lavoratori delle aziende che chiude o familiari di lavoratori che uccide sul posto di lavoro a partecipare alle trasmissioni delle sue TV per raccontare le loro difficoltà, dolore, disperazione…); la sinistra borghese lo trasforma nella linea di solidarizzare con i popoli oppressi (finché restano oppressi…) e la Chiesa in appello ai potenti della terra perché rispettino la vita umana e facciano opere di carità a favore degli ultimi. Noi comunisti dobbiamo fare leva sui sentimenti di solidarietà, vicinanza e fratellanza con il popolo palestinese per promuovere la solidarietà con la sua eroica resistenza e il sostegno alle organizzazioni che la promuovono e guidano, per diffondere il messaggio che, per quanto sfavorevole sia il rapporto di forze, è sempre possibile per le forze rivoluzionarie trovare punti deboli nel sistema di potere della borghesia imperialista e del suo clero, attaccare e così modificare un passo dopo l’altro il rapporto di forza. La lotta del popolo palestinese per porre fine all’occupazione è parte importante dell’ampio fronte di lotta contro il sistema imperialista che va sviluppandosi in tutto il mondo. L’imperialismo è oppressione e miseria per la maggioranza dell’umanità, distruzione e abbrutimento, corruzione e criminalità, inquinamento e guerra. Possiamo e dobbiamo liberarcene. È inutile chiedere pietà e misura alla borghesia imperialista, al suo clero e ai delinquenti da essi assoldati e formati. Bisogna prepararsi a combattere. Bisogna attaccare dovunque abbiamo creato le condizioni per farlo con successo, prepararle lavorando senza tregua e senza riserve dove non siamo ancora pronti.

La redazione


1. Il contesto di cui è parte l’attacco lanciato da Hamas il 7 ottobre. L’attuale popolazione della Palestina (complessivamente circa 15 milioni) risulta 1. dalle invasioni arabe promosse a partire dal secolo VII dopo Cristo dai successori di Maometto e 2. dall’emigrazione di ebrei promossa da vari degli organismi contro la persecuzione formatisi a partire dagli ultimi decenni del secolo XIX nelle comunità ebree dell’Europa. Queste erano presenti in molte città (agli ebrei era vietato possedere terra), frutto della persecuzione che il clero cristiano cattolico e ortodosso aveva promosso per centinaia di anni contro gli ebrei che l’Impero romano aveva cacciato da Giudea, Samaria e Galilea a conclusione della repressione delle rivolte del Regno di Giudea (63 a.C. - 132 d.C.). Erano comunità urbane composte da artigiani, avvocati, intellettuali di vari campi, usurai, banchieri e altri professionisti al servizio della società feudale e poi capitalista. Quando nell’Ottocento in Europa la società borghese giunse nei paesi più avanzati al culmine del suo sviluppo, nelle nazioni ancora prive di un proprio Stato si svilupparono movimenti per l’indipendenza politica nazionale e nelle classi oppresse, in particolare nella classe operaia, nacque e si sviluppò il movimento comunista cosciente e organizzato. Il Manifesto del partito comunista, redatto da Marx ed Engels, venne pubblicato a Londra nel febbraio 1848. In questo contesto, nei ghetti dove gli ebrei vivevano confinati, si formarono organismi e correnti che miravano a porre fine alla persecuzione a cui da secoli erano sottoposti. Molti furono anche gli ebrei che in Europa e nell’Impero Russo fecero parte dei movimenti rivoluzionari delle nazioni e delle classi oppresse, in particolare del movimento comunista: Karl Marx e Rosa Luxemburg sono solo i più celebri. Alcuni delle correnti e degli organismi ebrei che lottavano contro il regime di oppressione promossero la creazione di uno Stato ebraico in uno dei paesi coloniali tramite la migrazione in massa dai ghetti europei. Il sionismo fu uno di essi, nato per iniziativa di Theodor Herzl (1860-1904), un intellettuale ebreo-ungherese. Varie furono le zone coloniali che questi organismi presero in considerazione (Madagascar, Kenya, varie zone dell’America latina). Scartate per un motivo o per un altro le opzioni prese in esame, i sionisti e altri organismi scelsero infine la Palestina, allora parte dell’Impero Ottomano e comprendente le regioni celebrate nelle Sacre Scritture della religione ebrea (Giudea, Samaria e Galilea) da cui gli ebrei erano stati in gran parte cacciati dagli imperatori romani. L’emigrazione ebrea in Palestina iniziò comperando terre dai feudatari arabi a scapito dei contadini che venivano cacciati. I sionisti divennero decisi fautori dell’installazione degli ebrei in Palestina. Gruppi di imprenditori, affaristi e banchieri ebrei tra cui la famiglia Rothschild presero la direzione del movimento sionista. Approfittando del fatto che il governo britannico cercava finanziamenti per far fronte alle spese di guerra, i Rothschild lo indussero a emettere nel 1917 la Dichiarazione Balfour (A.J. Balfour, già capo del governo, nel 1917 era il ministro degli esteri) in cui si impegnava a favorire la costituzione in Palestina di un centro (un “focolare nazionale”) per gli ebrei. Alla fine della guerra, la Società delle Nazioni fece della Palestina un protettorato dell’Impero britannico che favorì la migrazione ebrea in Palestina. I sionisti finanziarono anche gruppi paramilitari ed estremisti come l’Haganah di David Ben Gurion, l’Irgun di Menachem Begin e il Lehi di Avraham Stern (Banda Stern), che a partire dagli anni ‘30 organizzarono azioni armate contro le popolazioni arabe palestinesi (in maggioranza musulmane) e anche contro le istituzioni coloniali e i militari britannici: poiché gli scontri tra sionisti e popolazione locale ostacolavano la stabilizzazione del protettorato inglese in Palestina, a un certo punto gli imperialisti inglesi cercarono di frenare l’emigrazione ebrea e la formazione dello Stato d’Israele. Nacque allora anche un movimento nazionale palestinese. Sia nelle campagne che nelle città gli abitanti autoctoni della Palestina si opposero sempre più alla emigrazione ebrea. Nel 1929 a Gerusalemme scoppiò una rivolta nella quale morirono 133 ebrei e 116 arabi. L’episodio più importante dell’opposizione palestinese alla colonizzazione fu la cosiddetta Grande Rivolta (1936-1939), causata dall’emarginazione economica e dal progressivo impoverimento della popolazione autoctona combinate con l’aumento quantitativo e la crescente intrusione della popolazione ebrea. In quel periodo, quasi la metà dei palestinesi fu costretta a cercare lavoro fuori del villaggio di residenza. Intanto, gli agenti sionisti facevano massicci acquisti di terre, provocando l’innalzamento dei prezzi. Dopo aver comperato le grandi proprietà terriere dai latifondisti arabi, i sionisti si rivolsero ai piccoli appezzamenti dei contadini che vivevano al limite della sopravvivenza ed ebbero gioco facile nell’acquisto di centinaia di ettari di terra. Nel giro di pochi anni il 30% degli agricoltori palestinesi era senza terra e il 75-80% dei proprietari non aveva terra sufficiente a garantirsi la sopravvivenza: nacque un ampio movimento di resistenza. Nel 1937 tra i 9 e i 10 mila combattenti palestinesi operavano nelle campagne, attaccando le forze britanniche e gli insediamenti ebrei. La rivolta fu stroncata dall’esercito britannico, circa il 10% della popolazione maschile palestinese fu uccisa, ferita, imprigionata o esiliata e la resistenza decapitata.

Nel 1942 a New York, presso l’hotel Biltmore, si svolse un congresso sionista: l’ala moderata di Weizmann, che propugnava invasione graduale e divisione della Palestina tra ebrei e palestinesi, fu sconfitta dall’ala radicale di Ben-Gurion, che era per l’immediata creazione di uno Stato ebraico comprendente l’intera Palestina, anche ricorrendo alla lotta armata (“Programma Biltmore”). Successivamente, nel 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò a maggioranza (33 voti a favore, 13 contro e 10 astenuti) un piano di partizione della Palestina che prevedeva l’istituzione di uno Stato ebraico sul 55% del territorio palestinese e uno arabo sul restante 45%, con Gerusalemme sotto controllo internazionale.

I gruppi sionisti violarono queste decisioni delle Nazioni Unite. Tra il dicembre del 1947 e la prima metà di maggio del 1948 diedero il via a una vera e propria guerra contro il popolo palestinese: col pretesto di “difendere gli insediamenti” ebrei e il territorio del nascente Stato ebraico, si diedero alla progressiva distruzione di villaggi palestinesi e all’espulsione degli abitanti, il 14 maggio del 1948 dichiararono unilateralmente la nascita dello Stato di Israele e il giorno seguente le truppe britanniche si ritirarono definitivamente dalla Palestina. Il 15 maggio 1948 gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Giordania attaccarono lo Stato d’Israele. L’offensiva venne bloccata dall’esercito israeliano e dai gruppi paramilitari ebrei e le forze arabe vennero costrette ad arretrare. Israele conquistò centinaia di città e villaggi palestinesi. Centinaia di migliaia di arabi furono costretti ad abbandonare il territorio in quello che divenne l’esodo palestinese del 1948, che i palestinesi ricordano con il nome di “Nakba” (catastrofe). Durante questo conflitto, i gruppi paramilitari sionisti costrinsero la popolazione palestinese ad emigrare a suon di attentati e massacri di civili inermi e colonizzarono interi villaggi. La Guerra arabo-israeliana del 1948 si concluse con l’armistizio di Rodi (24 febbraio 1949). Il numero di rifugiati palestinesi provenienti dai territori occupati da Israele superò le 700 mila persone. I profughi si stabilirono prevalentemente in Giordania, Siria, Libano, Cisgiordania e nella striscia di Gaza. La Giordania annesse la Cisgiordania, mentre l’Egitto occupò la striscia di Gaza. Israele annesse la Galilea e altri territori a maggioranza araba conquistati con la guerra, arrivando a ricoprire il 78% del territorio della Palestina.

Nel 1956 il Primo Ministro egiziano Gamal Abd el-Nasser nazionalizzò il canale di Suez chiudendolo alle navi di Israele e di fatto contrapponendosi agli interessi del Regno Unito e della Francia che tramite il canale avevano accesso commerciale e militare alle loro colonie africane e del sud-est asiatico. Il governo Nasser, inoltre, orbitava intorno all’Unione Sovietica e aveva importanti relazioni con i paesi del campo socialista. Regno Unito e Francia attaccarono l’Egitto e Israele si alleò con loro e occupò la Striscia di Gaza e la penisola del Sinai. La guerra per il controllo del canale di Suez si risolse grazie a un accordo tra Stati Uniti d’America e Unione Sovietica. Da quel momento in poi, lo Stato sionista d’Israele entrò a far parte della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti, capeggiati dagli USA, di cui divenne un agente nel Medio Oriente e poi anche in altre zone. Lo Stato sionista d’Israele verrà, da quel momento in poi, sostenuto dagli USA in campo economico (tra gli anni ‘70 e il 2023, i finanziamenti statunitensi a Israele ammontarono a 158 miliardi di dollari), in campo bellico (accordi di ricerca, forniture militari, progetti di ricerca nucleare), in campo diplomatico (nel corso degli ultimi 32 anni, basandosi sul loro status di membro permanente con diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, gli USA hanno bloccato 30 risoluzioni contrarie ad Israele).

Lo Stato sionista d’Israele, nell’ottica di radicare la sua presenza in Palestina e penetrare in Medio Oriente, nel 1967 decise nuovamente di attaccare le popolazioni arabe palestinesi (fu la Guerra dei sei giorni), conquistando la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza, la penisola del Sinai (Egitto) e le alture del Golan (Siria). Israele restituì la penisola del Sinai all’Egitto solo dopo la guerra del Kippur (1973) a patto del riconoscimento ufficiale di Israele da parte del governo egiziano, ma non restituì gli altri territori occupati.

Dal 1979 al 1983, i servizi segreti israeliani (Mossad) condussero una vasta campagna di attentati con autobombe in Libano che causò la morte di centinaia di palestinesi e libanesi, per lo più civili, rivendicata dal “Fronte per la liberazione del Libano dagli stranieri” (FLLE). Obiettivo principale era quello di spingere l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), guidata da Yasser Arafat, ad attaccare Israele per fornire ai sionisti la giustificazione per un’invasione del Libano. Nel 1982 Israele invase il Libano: in pochi giorni le truppe israeliane arrivarono alla capitale Beirut, che venne cinta d’assedio e occuparono la parte meridionale del paese fino al 2000. Tra le più grandi stragi di palestinesi, ci fu il massacro nei campi profughi di Sabra e Shatila, compiuta da gruppi falangisti di matrice cristiana maronita con il supporto delle Forze di Difesa Israeliane (IDF).

Ma a seguito dell’invasione del Libano, la resistenza palestinese si estese: oltre all’OLP che raccoglieva le organizzazioni già esistenti (Fatah, Fronte Popolare di Liberazione della Palestina-FPLP, Fronte Arabo di Liberazione-FAL, Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina-FDLP, ecc.) nacquero nuove formazioni che animarono la prima sollevazione armata organizzata (in arabo “Intifada”, 1987-1993) come Hamas e il Movimento per il Jihad Islamico in Palestina (Striscia di Gaza e Cisgiordania) e Hezbollah (Libano), di matrice musulmana. La prima Intifada interessò i territori occupati da Israele in Cisgiordania e nella striscia di Gaza e si concluse con gli accordi di Oslo (1993), che diedero vita all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). L’ANP di fatto servì solo come foglia di fico, per dare una parvenza di governo e di rappresentanza al popolo palestinese: non servì a fermare le continue incursioni dell’IDF in Cisgiordania né tanto meno le incursioni dei coloni armati nei villaggi palestinesi, l’esproprio delle terre, la distruzione delle case, gli omicidi mirati di esponenti politici della resistenza, i raid aerei e le decine di altre iniziative promosse dai sionisti per sfollare i palestinesi dalle proprie terre. Nel 2000 quindi prese il via la seconda Intifada: decine di attacchi e attentati esplosivi delle formazioni della resistenza palestinese contro lo Stato sionista d’Israele, che costrinse i sionisti a ritirarsi dalla Striscia di Gaza nel 2005 lasciandola sotto il controllo palestinese.

Lo Stato sionista d’Israele ha continuato, dopo il 2005, la persecuzione del popolo palestinese soprattutto tentando di fiaccare il più possibile la resistenza con operazioni come Piombo fuso (dicembre 2008 - gennaio 2009), Colonna di nuvole (2012), Margine di protezione (2014), Guardiani delle Mura (2021). Ma la resistenza nel corso dei decenni si è sviluppata ed estesa.

È in questo contesto che si inserisce l’azione militare della resistenza palestinese contro lo Stato sionista d’Israele del 7 ottobre scorso. Il (n)PCI plaude all’operazione perché attiene alla lotta per liberare il popolo palestinese dall’oppressione dello Stato sionista d’Israele, che utilizza la popolazione israeliana come carne da macello nell’ottica di perseguire i fini della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti in Medio Oriente e in altri paesi. Non a caso l’opposizione allo Stato sionista cresce anche tra la popolazione ebrea.

2. Il sionismo è la versione ebrea del fascismo. Il sionismo è uno dei movimenti che hanno cercato e cercano di soffocare la lotta delle classi oppresse e in particolare della classe operaia contro la borghesia, in nome dell’unità nazionale o razziale (mobilitazione reazionaria).

Il sionismo è uno dei movimenti nazional-socialisti comparsi praticamente in ogni paese imperialista e che, per un certo periodo, è stato influenzato dal movimento comunista: un esempio sono le prime forme di kibbutz, originariamente strutture cooperative di lavoratori e contadini ebrei installatisi in Palestina (che riprendevano la forma organizzativa dei kolchoz sovietici), mentre oggi sono vere e proprie colonie strutturate in maniera corporativa e reazionaria. Ognuno dei movimenti nazional-socialisti sorti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento pretendeva di risolvere le questioni della società moderna del proprio paese, create dalla società capitalista e che si possono risolvere solo col suo superamento, assumendo come guida qualche cultura (concezione del mondo, idee, sentimenti, valori, abitudini, relazioni, simboli e riti) del passato e restaurando valori antichi incompatibili col mondo moderno che infatti li ha lasciati alle spalle. Movimenti di questo genere, quando in qualche paese riescono ad assumere la direzione delle masse popolari, non possono che portarle alla lotta contro altre nazioni o etnie e sono in generale presi in mano, ad un certo punto del proprio sviluppo, da una parte della classe dominante. La natura reazionaria dei rapporti interni che essi cercano di mantenere o restaurare inevitabilmente si riversa in guerra nelle relazioni internazionali.

Come i fascisti italiani facevano di tutto perché in Italia e all’estero si identificassero italiani e fascisti, come i nazisti tedeschi facevano di tutto perché in Germania e all’estero si identificassero nazisti e tedeschi, così i sionisti e tutti i reazionari fanno di tutto perché gli ebrei e gli altri popoli identifichino sionisti ed ebrei. In questo modo, per i propri interessi, i sionisti e tutti i reazionari fomentano l’antisemitismo. Essi spingono in ogni paese le masse popolari a ritenere che gli ebrei in generale sono autori, responsabili o almeno complici delle atrocità perpetrate dai sionisti. In realtà già oggi in Palestina e in ogni paese molti ebrei partecipano in vari modi alla lotta contro il sionismo.

Il sionismo è la versione ebrea del fascismo. Il sionismo sta agli ebrei come il fascismo stava agli italiani e il nazismo stava ai tedeschi. È la forma specificamente ebrea della mobilitazione reazionaria delle masse popolari nell’epoca in cui il capitalismo è arrivato al tramonto ed è iniziata nel mondo la rivoluzione socialista. Il sionismo è nato e vive trasformando in lotta contro il popolo palestinese la giusta lotta degli ebrei contro la discriminazione e la persecuzione che i regimi feudali, reazionari e borghesi europei, sulla scia delle Chiese cristiane, hanno loro inflitto. È un movimento che cerca di affrontare e risolvere i problemi della società moderna ritornando al passato, rispolverando vecchi miti (il popolo eletto, la terra promessa, ecc.), proprio come i fascisti italiani avevano rispolverato il mito di Roma imperiale e i nazisti il mito della Germania nibelungica.

Come i fascisti nei confronti del popolo italiano e i nazisti nei confronti del popolo tedesco, essi si avvalgono di quanto di più reazionario esiste nelle comunità ebree e lo alimentano, a vantaggio dell’imperialismo. Oggi la massa degli ebrei in tutti i paesi del mondo e anche in Israele sono oppressi e comunque dominati dai sionisti: questo sia a causa dell’eredità delle persecuzioni antisemite a cui sono stati sottoposti nei paesi cristiani europei da duemila anni a questa parte e culminate nell’Olocausto organizzato dai nazisti, sia a causa del declino del movimento comunista e il connesso sopravvento della cultura reazionaria della borghesia imperialista che caratterizza il periodo seguito all’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria. La lotta aperta e senza riserve contro il sionismo e contro ogni forma di razzismo (ivi compresa ovviamente la lotta senza riserve contro l’antisemitismo dei gruppi fascisti, nazisti, cristiani integralisti e affini) è un aspetto imprescindibile della rinascita del movimento comunista. Essa aiuterà anche gli ebrei comunisti e progressisti a riprendere forza e la massa degli ebrei a scuotersi di dosso il dominio dei sionisti.

I sionisti cercano di presentarsi come i difensori degli ebrei che molti Stati e movimenti imperialisti, il Vaticano e le correnti reazionarie hanno perseguitato e perseguitano in Europa. In realtà, fin dalla sua nascita, il movimento sionista ha cercato di impedire la mobilitazione degli ebrei nel movimento comunista: molti ebrei, a incominciare da Karl Marx e da Rosa Luxemburg, erano eminenti esponenti del movimento comunista, il più radicale nemico dell’antisemitismo e di ogni discriminazione nazionale e razziale. Perfino di fronte alla persecuzione scatenata contro gli ebrei dai nazisti e dai fascisti, invece di promuovere la mobilitazione degli ebrei nella resistenza antifascista e antinazista condotta dalla classe operaia, dalle altre classi e dai popoli oppressi, i sionisti stringevano accordi con i nazisti per incrementare l’emigrazione di ebrei in Palestina e avere più uomini a sostegno dell’impresa coloniale che avevano avviato fin dalla fine dell’Ottocento. Dopo la Seconda guerra mondiale lo Stato d’Israele è diventato la testa di ponte dell’imperialismo USA in Medio Oriente e un centro promotore delle sue manovre reazionarie in tutto il mondo. Esso cerca, con sempre minore successo, di rendere tutte le comunità ebree sparse per il mondo complici della sua criminale impresa di oppressione e di sfruttamento.

Noi comunisti abbiamo sempre combattuto l’antisemitismo e ogni altra forma di razzismo e dobbiamo sempre ricordare il grande contributo che, nonostante il sionismo, gli ebrei hanno dato al movimento comunista: sia come dirigenti, sia come militanti dei partiti comunisti e combattenti nella Resistenza e nelle lotte rivoluzionarie in Europa e in America, sia come vittime della ferocia imperialista (i coniugi Ethel e Julius Rosenberg sono un esempio).

Noi comunisti non siamo quindi per la cacciata degli ebrei dalla Palestina: siamo per la liberazione della Palestina dall’occupazione dei gruppi imperialisti sionisti e del loro Stato, che opprime il popolo palestinese, sfrutta e usa come carne da cannone la popolazione ebrea. Saranno le masse popolari palestinesi ed ebree a definire quale sarà il futuro della Palestina. A noi comunisti italiani spetta il compito di liberarci dai vertici della Repubblica Pontificia e dalla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA, sionisti ed europei che spadroneggiano nel nostro paese. Costituendo il Governo di Blocco Popolare romperemo le catene della Comunità Internazionale e contribuiremo alla resistenza del popolo palestinese e alla rinascita del movimento comunista a livello internazionale, mostrando la strada alle masse popolari e ai comunisti dei paesi imperialisti.

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La lotta del popolo palestinese per porre fine all’occupazione è parte importante dell’ampio fronte di lotta che va sviluppandosi in tutto il mondo contro il sistema imperialista. I comunisti e i progressisti del mondo intero devono appoggiare l’eroica resistenza del popolo palestinese e sostenere in particolare le organizzazioni della resistenza palestinese. In particolare è importante che gli ebrei progressisti del mondo intero sostengano la resistenza palestinese e lottino con forza crescente per porre fine allo Stato sionista d’Israele. È la premessa migliore per sconfiggere le manovre con cui i sionisti e i loro protettori, alleati e mandanti cercano di identificare il sionismo con i diritti degli ebrei, l’antisionismo con l’antisemitismo e di fomentare così l’antisemitismo. Non è possibile convivere con lo Stato razzista e teocratico d’Israele. Solo una Palestina libera, democratica, senza discriminazioni razziali, nazionali o religiose porrà fine alla colonizzazione e all’aggressione nel Medio Oriente e soddisferà le giuste aspirazioni di tutti i suoi abitanti.

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3. Lo Stato sionista di Israele è un braccio armato dei gruppi imperialisti USA. L’imperialismo USA è il principale centro della reazione in tutto il mondo, il gendarme dell’ordine imperialista che schiaccia molti popoli, il caporione di tutti i gruppi e di tutte le potenze imperialiste. Esso occupa oggi nel mondo un posto analogo a quello che negli anni ’30 occupava la Germania nazista. I gruppi imperialisti USA sono i principali fautori e beneficiari dell’ordinamento di oppressione e sfruttamento che stringe in una morsa di miseria e di morte milioni di uomini e di donne in ogni angolo del mondo. L’umanità non ha mai conosciuto alcuna pestilenza che facesse tante vittime quante ne fa attualmente, quotidianamente e silenziosamente, l’ordinamento capitalista. I gruppi imperialisti USA cercano, con sempre minore successo, di imporre in ogni paese l’apertura delle frontiere ai loro interessi, ai loro investimenti e ai loro traffici. Essi sono i tutori di ultima istanza dell’attuale ordinamento internazionale contro cui si alza da ogni angolo del mondo un grido di dolore e cresce la ribellione delle masse popolari. Il loro governo, il governo di Washington, è il gendarme mondiale di questo ordinamento, il più crudele e sanguinario carnefice che l’umanità abbia mai conosciuto. Non è un caso che i gruppi imperialisti USA rifiutano ogni autorità sovranazionale. Non c’è oggi al mondo un solo movimento che più o meno coerentemente lotti contro la miseria, la fame, l’abbrutimento materiale e morale delle masse popolari, l’inquinamento dell’ambiente e degli alimenti che non si scontri direttamente o indirettamente con i gruppi imperialisti USA, che non debba far fronte ai loro soldati, ai loro mercenari, ai loro spioni, ai loro consiglieri, ai loro banchieri. L’odio contro i gruppi imperialisti USA cresce in ogni angolo del mondo e sempre più anima quanto di onesto e di vitale esiste tra le masse popolari: è “l’altra faccia della medaglia” dell’amore per la vita e per il benessere proprio e delle masse popolari.

Lo Stato sionista d’Israele è il loro braccio armato nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, in Africa e anche in altre zone del mondo. Si è affermato e continua ad esistere solo grazie al sostegno dell’imperialismo americano e delle potenze imperialiste europee, di cui è l’avamposto contro i popoli arabi e musulmani.

Lo Stato sionista d’Israele, dopo la fallita aggressione all’Egitto condotta nel 1956 in combutta con i gruppi imperialisti britannici e francesi, si è comperato la propria sopravvivenza convertendosi nell’avamposto militare e politico dell’imperialismo americano contro la rivoluzione democratica che avanzava nei paesi arabi. La nascita, lo sviluppo e la forza raggiunta dalla resistenza nazionale del popolo palestinese sta mettendo a dura prova la santa alleanza tra sionismo e imperialismo americano.

Il sogno dei gruppi imperialisti USA di stabilire la loro supremazia sul mondo e di regnare senza fine sulle macerie materiali e morali che il loro ordinamento sociale produce, è destinato a essere sconfitto. Noi non possiamo dire oggi ai lavoratori e alle masse popolari quanto tempo, quanta fatica e quanto sangue questo costerà. Ma possiamo dire con certezza che la vittoria sarà delle masse popolari amanti della pace. Quindi dobbiamo avere fiducia nelle nostre forze e nel futuro, non disperare mai nella vittoria, mobilitarci, organizzarci e assestare tutti i colpi che via via saremo in grado di infliggere alla macchina da guerra dei gruppi imperialisti USA e sionisti e dei loro complici italiani. Bisogna combinare la mobilitazione e la protesta pubblica e l’attività clandestina, la mobilitazione di massa e le azioni individuali e di gruppo. Gli aggressori e i loro complici non devono avere pace! Nessuna convivenza con loro è possibile, nessun accordo!

Non siamo soli, al contrario. In ogni angolo del mondo altri lavoratori, altri giovani generosi, altre donne rivoluzionarie combattono la nostra stessa battaglia. Un po’ alla volta le nostre forze cresceranno, stabiliremo maggiori legami e svilupperemo la solidarietà tra tutte le forze che combattono contro gli imperialisti e l’ordinamento che essi impongono nel mondo. Le forze degli imperialisti sono destinate a indebolirsi, le nostre forze sono destinate a crescere!

I governi imperialisti dei paesi europei non ostentano il loro appoggio e il loro uso di Israele come gli imperialisti USA. Ma in realtà collaborano con gli imperialisti americani e con i sionisti, finanziano lo Stato d’Israele, forniscono supporto logistico all’aggressione americana e sionista, sostengono la politica americana e sionista. In Italia i sionisti possono fare quello che ritengono opportuno in completa impunità, protetti dalle autorità civili, militari e religiose italiane. I sionisti d’Israele si giovano delle prestazioni italiane, del territorio e delle risorse del nostro paese, non solo tramite la NATO ma anche direttamente. Il governo italiano si è vincolato a prestazioni dirette d’ogni genere: la legge 94 del 17 maggio 2005, approvata alla Camera e al Senato dai partiti delle Larghe Intese, ne inquadra solo alcune. Inoltre i sionisti d’Israele in proprio, direttamente e in condizioni di assoluta impunità organizzano sul territorio italiano operazioni d’ogni genere (gruppi sionisti civili e paramilitari, agenzie di spionaggio, rapimenti di dissidenti, esecuzioni di oppositori e quanto altro serve loro). Essi si servono dell’Italia come retroterra d’Israele.

Tutto questo la Repubblica Pontificia lo compie e lo tollera in aperta violazione della Costituzione che vieta la guerra, vieta cessioni unilaterali di sovranità, vieta le attività e la propaganda fasciste e naziste. Ai termini della Costituzione del 1948 le organizzazioni sioniste e la propaganda sionista non hanno diritto di esistere in Italia.

Denunciare le autorità italiane e la loro collaborazione all’aggressione, alla pulizia etnica e al genocidio sistematicamente perseguiti dai sionisti d’Israele è una parte imprescindibile della mobilitazione in solidarietà al popolo palestinese e per la cessazione dell’aggressione alla Striscia di Gaza.

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Lo Stato sionista d’Israele, la cui creazione è stata una delle ultime imprese del vecchio colonialismo, attualmente è, come la NATO, un braccio armato della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti capeggiata dal complesso militare-industriale-finanziario USA. Esso domina in Palestina dove possiede e produce anche armi atomiche e i mezzi per usarle, ma agisce in numerosi altri paesi a sostegno delle forze reazionarie locali contro ogni movimento progressista: sono molte le sue attività in Italia ma anche in altri paesi di tutti i continenti. L’offensiva palestinese lanciata il 7 ottobre indica la via per porre fine all’opera coloniale che la borghesia imperialista ha imposto in Medio Oriente alla fine della Prima guerra mondiale a danno degli arabi e degli ebrei.

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4. Il ruolo pratico che Hamas e altre organizzazioni simili svolgono oggi nello scontro in atto. In Palestina Hamas è diventata la maggiore espressione organizzata della resistenza alla colonizzazione sionista e all’occupazione imperialista. In Iraq, in Afghanistan, in Somalia, in altri paesi arabi e musulmani, nei paesi imperialisti tra gli immigrati, organizzazioni ispirate alla religione musulmana hanno assunto un ruolo importante nella resistenza popolare, un ruolo che cresce col crescere della resistenza. Esse sono nate decenni fa come organismi fomentati dal clero musulmano e foraggiati dagli imperialisti contro il movimento comunista (esemplare il caso dell’Indonesia negli anni ’60), ma man mano che il movimento comunista si indebolì (a causa del revisionismo moderno) e la borghesia imperialista riprese forza, molte di esse sono diventate antimperialiste. È ovvio che oggi la borghesia imperialista, i suoi portavoce e le persone influenzate dai suoi interessi o succubi delle sue concezioni denigrano in ogni modo queste organizzazioni.

Per combattere il ruolo positivo e progressista di esse, quando non inventano di sana pianta e non travisano i fatti, comunque mettono costantemente in primo piano, più che riescono, ciò che c’è di arretrato e di sbagliato a scapito del ruolo che quelle organizzazioni stanno svolgendo nello sviluppo dei loro popoli e dell’aiuto che danno alle forze progressiste di tutto il mondo. Per arruolare le masse popolari in difesa dei propri interessi lesi dalla rivoluzione democratica (l’eliminazione dei residui feudali e delle altre forme di economia basata sui rapporti personali di dipendenza e di oppressione) antimperialista (la liberazione dalla dominazione imperialista, quindi la lotta contro l’imperialismo e i suoi agenti locali) dei popoli arabi e musulmani, i gruppi imperialisti e i loro fautori cercano di farla diventare una guerra tra religioni, culture e civiltà.

Quello che è in gioco qui da noi è in realtà l’orientamento delle masse popolari del nostro paese: con la “nostra” borghesia imperialista contro i popoli oppressi oppure contro la “nostra” borghesia quindi alleati, almeno oggettivamente, dei popoli oppressi in rivolta. Che posizione dobbiamo assumere noi comunisti e gli altri esponenti avanzati della resistenza che le masse popolari del nostro paese oppongono al progredire della crisi generale del capitalismo?

Dobbiamo anzitutto afferrare il principio, già enunciato chiaramente da Marx nella sua Prefazione a Per la critica dell’economia politica (1859) e con questo esaminare l’esperienza della lotta di classe: “come non si può giudicare un uomo restando all’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare un’epoca di sconvolgimento storico fermandosi alla coscienza che di essa hanno i suoi protagonisti e attori: occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita pratica”. L’aspetto principale decisivo è il ruolo pratico, storico che Hamas e altre organizzazioni simili svolgono oggi nello scontro in atto nel mondo. Non sono i loro limiti e difetti l’aspetto principale, ma l’eroismo con cui si rivoltano contro gli oppressori delle classi sfruttate e dei popoli oppressi di tutto il mondo. La concezione che permette a loro di concepire quello scontro e di combatterlo certo è importante, può essere perfino decisiva ai fini del successo delle loro singole operazioni. Ma essa sarà messa alla prova dei risultati pratici delle azioni che guida. Sarà superata perché si rivelerà non all’altezza dell’opera e inferiore alla concezione comunista che mostrerà nella pratica la propria superiorità. Più volte nella storia moderna si sono presentate già situazioni analoghe, di movimenti progressisti diretti da forze guidate da concezioni arretrate. Il nostro paese ne è stato teatro. Movimenti contadini per la conquista della terra e l’abolizione dei legami feudali e semifeudali nelle campagne, hanno costellato tutto il secolo XIX, nel corso della formazione dell’Italia moderna: 1796, 1799, 1808, 1821, 1848, 1860, 1880 (che la borghesia definì “brigantaggio”). Essi furono capeggiati da personalità e organizzazioni reazionarie: preti, nobili, principi spodestati e altri residuati storici che si contrapponevano ai loro colleghi di classe che invece partecipavano alla combinazione delle classi dominanti e con i Savoia, pur mantenendo dei legami con essi. Solo quando il movimento comunista del nostro paese raggiunse un certo sviluppo, cioè dalla fine del secolo XIX, esso incominciò ad assumere la direzione dei movimenti contadini (Fasci siciliani, moti dalla Lunigiana, ecc.) per la terra e la distruzione dei rapporti semifeudali nelle campagne. Nel resto del mondo moderno abbondano esempi analoghi.

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Nelle condizioni dell’oppressione imperialista, il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica affatto obbligatoriamente l’esistenza di elementi proletari nel movimento, l’esistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano del movimento, l’esistenza di una base democratica del movimento. La lotta dell’emiro dell’Afghanistan per l’indipendenza dell’Afghanistan è oggettivamente una lotta rivoluzionaria, nonostante il carattere monarchico delle concezioni dell’emiro e dei suoi seguaci, poiché essa indebolisce, disgrega, scalza l’imperialismo, mentre la lotta di certi ‘ultra’ democratici e ‘socialisti’, ‘rivoluzionari’ e repubblicani dello stampo, ad esempio, di Kerenski e Tsereteli, Renaudel e Scheidemann, Cernov e Dan, Henderson e Clynes durante la guerra imperialista, era una lotta reazionaria, perché aveva come risultato di abbellire artificialmente, di consolidare, di far trionfare l’imperialismo. La lotta dei mercanti e degli intellettuali borghesi egiziani per l’indipendenza dell’Egitto è, per le stesse ragioni, una lotta oggettivamente rivoluzionaria, benché i capi del movimento nazionale egiziano siano borghesi per origine e appartenenza sociale e benché essi siano contro il socialismo, mentre la lotta del governo ‘operaio’ inglese per mantenere la situazione di dipendenza dell’Egitto è, per le stesse ragioni, una lotta reazionaria, benché i membri di questo governo siano proletari per origine e appartenenza sociale e benché essi siano ‘per’ il socialismo. E non parlo del movimento nazionale degli altri paesi coloniali e dipendenti più grandi, come l’India e la Cina, ogni passo dei quali sulla via della loro liberazione, anche se contravviene alle esigenze della democrazia formale, è un colpo di maglio assestato all’imperialismo, ed è perciò incontestabilmente un passo rivoluzionario. Lenin ha ragione quando afferma che il movimento nazionale dei paesi oppressi si deve considerare non dal punto di vista della democrazia formale, ma dal punto di vista dei risultati del bilancio generale della lotta contro l’imperialismo, cioè ‘non isolatamente, ma su scala mondiale’” (Stalin, Principi del leninismo - VI. La questione nazionale, in Questioni del leninismo, Edizioni Rapporti Sociali e Red Star Press, 2022).

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Chi in nome degli aspetti arretrati e reazionari delle organizzazioni dirigenti, effettivi o inventati, si unisce al coro degli imperialisti, volente o nolente collabora a mobilitare le masse popolari del nostro paese contro la rivoluzione democratica e antimperialista delle masse popolari arabe e musulmane. Collabora a intossicare la classe operaia e le masse popolari del nostro paese, contribuisce ad aggregarle attorno e sotto la direzione (secondo loro illuminata, progressista, civile, moderna, ecc.) della borghesia imperialista e del Vaticano, ostacola la loro mobilitazione e la rinascita del movimento comunista.

Noi comunisti e gli esponenti avanzati delle masse popolari dobbiamo contrastare la denigrazione delle organizzazioni dirigenti di quella lotta e far conoscere le loro reali posizioni. Dobbiamo far conoscere alle masse popolari del nostro paese il vero contenuto della lotta dei popoli oppressi, il legame tra la lotta antimperialista dei popoli oppressi e la nostra lotta per far avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese.

5. La resistenza palestinese conferma che sono le masse popolari a fare la storia, non le armi sofisticate degli imperialisti. I sionisti israeliani dispongono di uno degli eserciti meglio armati del mondo, dotato dei mezzi più sofisticati di informazione, di offesa e di difesa. Inoltre contano sul completo appoggio dei gruppi imperialisti USA e su un appoggio importante di quelli europei. Eppure non sono riusciti a piegare il popolo palestinese né a Gaza né in Cisgiordania né altrove. Nonostante la sproporzione delle forze, il popolo palestinese resiste, Hamas e gli altri gruppi della resistenza hanno inflitto gravi perdite ai sionisti. La resistenza del popolo palestinese ai sionisti d’Israele è un esempio per le masse popolari del nostro paese. Per quanto sfavorevole sia il rapporto di forze, è sempre possibile per le forze rivoluzionarie trovare punti deboli nel sistema di potere della borghesia imperialista, attaccare e così modificare un passo dopo l’altro il rapporto di forza: basta avere una strategia giusta e lottare con continuità, adottando tattiche efficaci. In tutte le iniziative di massa contro i sionisti e a favore della resistenza del popolo palestinese dobbiamo mettere in grande rilievo questi aspetti, non solo denunciare le atrocità perpetrate dai sionisti d’Israele.

Avevamo già visto lotte vinte da chi aveva combattuto partendo da una situazione in cui le forze erano sproporzionatamente a suo sfavore. Così è stato per la resistenza contro le truppe naziste e dei governi fantoccio in vari paesi d’Europa durante la Seconda guerra mondiale: in Jugoslavia, in Grecia, in Albania, in Italia. Tutti i popoli del mondo hanno ammirato il popolo vietnamita che per trent’anni, dal 1945 al 1975, ha affrontato prima l’imperialismo francese e poi quello USA, resistendo all’uno e all’altro finché non hanno dovuto andarsene. Molti ricordano i presidenti USA Kennedy e Johnson e il loro ministro della guerra MacNamara che con un’arroganza che aveva precedenti simili solo in Hitler garantivano agli americani e al mondo che avrebbero schiacciato i vietnamiti grazie alle loro armi ad alta tecnologia. Non solo i vietnamiti costrinsero gli imperialisti USA a lasciare il Vietnam, ma la resistenza del popolo vietnamita e degli altri popoli indocinesi, del Laos e della Cambogia, produsse una grave crisi culturale e politica negli stessi USA da cui la borghesia imperialista americana si è sollevata a fatica. Infatti sulla scia della resistenza dei popoli indocinesi il movimento democratico e progressista americano raggiunse grande slancio e successi in ogni campo: dalla lotta contro il razzismo alla lotta contro il potere arbitrario, legalizzato e no, della CIA, della FBI e delle altre forze di polizia. Ma sia la resistenza dei popoli europei contro i nazisti sia la lotta dei popoli indocinesi contro gli imperialisti francesi e americani si svolsero in un contesto internazionale più favorevole. Il movimento comunista era forte e in ascesa in tutto il mondo e i popoli in lotta godettero del sostegno morale e anche politico e diplomatico di altri popoli. La lotta del popolo palestinese invece si svolge in un contesto internazionale in cui il movimento comunista non si è ancora ripreso dall’arretramento a cui la lunga direzione dei revisionisti moderni lo ha portato pressoché in tutto il mondo. Le lotte antimperialiste dei popoli oppressi si svolgono in molti casi sotto la direzione di gruppi reazionari. Il sostegno che il popolo palestinese riceve dal resto del mondo è ancora limitato.

Nonostante queste condizioni sfavorevoli il popolo palestinese resiste. I palestinesi fautori degli accordi di Oslo, della segregazione del popolo palestinese in riserve (come le riserve indiane degli USA o i bantustan instaurati in Sudafrica dai fautori dell’apartheid) in uno stato di semi-schiavitù e dell’acquiescenza al regime razzista e teocratico dei sionisti, hanno perso terreno tra i palestinesi e sono stati scaricati dai loro stessi protettori sionisti perché le due Intifada hanno dimostrato che non erano in grado di assicurare la sottomissione del loro popolo. I protettori e mandanti più accaniti dei sionisti, i gruppi imperialisti USA, stanno perdendo terreno in ogni angolo del mondo: dall’America Latina all’Asia, all’Africa. Il rapporto di forza si sta quindi spostando sia pure lentamente a favore del popolo palestinese.

Il popolo palestinese ha già dato e sta dando un grande contributo alla causa delle classi e dei popoli oppressi di tutto il mondo. Il suo esempio suscita slancio e solidarietà in ogni angolo della terra e dimostra che la borghesia imperialista, anche i suoi gruppi più cinici e barbari, possono essere tenuti a bada e anche colpiti. Esso giorno dopo giorno fa crollare il mito di onnipotenza e di invulnerabilità che la borghesia imperialista cerca di costruire attorno a sé e ai suoi sgherri. Esso smaschera agli occhi di milioni di oppressi l’ipocrisia della borghesia imperialista che si dichiara democratica, amante della libertà e dei diritti umani e mostra la barbarie del suo potere e della sua cultura. La rivoluzione palestinese è una rivoluzione democratica, per la liberazione e la dignità nazionale, contro il colonialismo, contro la discriminazione razziale e religiosa e contro l’oscurantismo clericale, per costruire una Palestina democratica. Essa sta dando un importante contributo anche alla rinascita del movimento comunista: è un’influenza positiva che si diffonde tra le masse popolari, le anima alla lotta. Sorregge moralmente tutti quelli che in ogni angolo del mondo lottano per ricomporre le fila del movimento che guiderà la prossima ondata della rivoluzione proletaria.