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La rivoluzione borghese scoppia, la
rivoluzione socialista è il risultato dell’attuazione di un
piano di lotta
Questa differenza
tra la rivoluzione socialista e la
rivoluzione borghese è legata al diverso ruolo svolto dalle
masse popolari
nelle due rivoluzioni e alla diversa natura delle classi dirigenti
delle due
rivoluzioni.
Nella rivoluzione
socialista le masse popolari devono
formare la nuova classe dirigente. La classe più importante
delle masse
popolari, la classe operaia, deve selezionare e formare i dirigenti
politici
rivoluzionari di tutte le masse popolari.
Nella rivoluzione
borghese le masse popolari
costituiscono solo la forza d’urto della rivoluzione. Combattono ma non
prendono il potere. Il potere è preso dalla borghesia.
La borghesia
seleziona e forma i suoi dirigenti politici
e stabilisce le sue relazioni di potere sul resto delle masse popolari
nel
corso dei traffici d’affari che svolge quotidianamente anche quando non
ha
ancora preso il potere. La rivolta popolare permette ai dirigenti
più eminenti
della borghesia di costituirsi in governo del paese.
La classe operaia
seleziona e forma i suoi dirigenti
politici rivoluzionari e stabilisce le sue relazioni di potere verso il
resto
delle masse popolari solo nel corso della guerra espressamente condotta
per
costituirsi come classe dirigente e per conquistare il potere. La
coesione
creata dal lavoro quotidiano di masse di lavoratori alle dipendenze di
uno
stesso padrone, le lotte rivendicative e di protesta che settori
più o meno
vasti di lavoratori conducono già nell’ambito della
società borghese,
l’organizzazione sindacale e professionale che settori più o
meno vasti di
lavoratori formano già nell’ambito della società
borghese: ecco tre importanti
processi spontanei della società borghese che però non
fanno della classe
operaia la classe dirigente del resto delle masse popolari, né
selezionano e
formano i suoi dirigenti politici rivoluzionari. Essi certo possono
essere tre
ingredienti importanti della guerra espressamente condotta dalla classe
operaia
e dal suo partito comunista per costituirsi come classe dirigente e per
impadronirsi del potere politico, costituirsi come nuovo Stato. Ed
effettivamente lo sono stati ogni volta che una simile guerra è
stata condotta.
Ma non si sostituiscono ad essa. Servono solo come ingredienti di essa
o come
introduzione ad essa. In assenza di essa diventano fattori correnti
della
società borghese: questa infatti per sua natura è basata
sulla contraddizione
di interessi (venditore/compratore, proletario/capitalista, ecc.)
e sulla contrattazione tra portatori di interessi contrapposti.
Una delle
principali manifestazioni della concezione
economicista della lotta della classe operaia, cioè di una
concezione primitiva
e arretrata della lotta della classe operaia, consiste esattamente nel
credere
che il potere della classe operaia o comunque la sua emancipazione
sociale
nascono, possono nascere come risultato, come culmine, come sbocco per
così
dire inevitabile e spontaneo 1. della coesione creata dal lavoro
quotidiano di
masse di lavoratori alle dipendenze di uno stesso padrone, 2. delle
lotte
rivendicative e di protesta di settori più o meno vasti di
lavoratori, 3. della
loro organizzazione sindacale e professionale. La concezione
economicista
ignora, trascura, nasconde il salto di qualità che c’è
tra le lotte
rivendicative e la rivoluzione socialista. Secondo gli economicisti, di
lotta
rivendicativa in lotta rivendicativa (“di sciopero in sciopero”
proclama
Epifani) sempre più combattiva e a partecipazione crescente, di
organizzazione
sindacale in organizzazione sindacale sempre più generale e
diffusa, con un
coordinamento crescente delle lotte rivendicative dei vari settori di
lavoratori, si dovrebbe arrivare al socialismo. Il coordinamento e la
generalizzazione delle lotte rivendicative, delle proteste e delle
altre lotte
sindacali contro i padroni e contro il loro governo sono correntemente
invocate
da economicisti di varia natura, da trotzkisti e da anarchici come via
maestra
per l’emancipazione dei lavoratori e l’uscita dal capitalismo. La tesi
del
gruppo RossOperaio (Partito Comunista maoista o Proletari Comunisti che
dir si
voglia) che la lotta rivendicativa degli operai debba essere (possa
essere) il
principale campo d’azione del partito di tipo nuovo o dell’azione per
la
costruzione del partito di tipo nuovo, non è che la
riproposizione con parole
nuove del vecchio economicismo. La differenza principale tra i
portatori di
simili concezioni e le più radicali organizzazioni politiche
della borghesia di
sinistra consiste nel fatto che per queste ultime l’obiettivo finale
della
lotta è una migliore (una meno iniqua, una meno disuguale)
ripartizione della
ricchezza; mentre per gli economicisti l’obiettivo finale è
l’instaurazione del
socialismo (l’abolizione della proprietà dei capitalisti).
La teoria e la
pratica di oltre 150 anni di lotte operaie
nei paesi più avanzati hanno inconfutabilmente dimostrato che la
concezione
degli economicisti è sbagliata, è una manifestazione
dell’arretratezza e del
primitivismo nel movimento operaio e popolare.
Anna M.