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Comitati di Partito
Comitato di Partito “Bandiera Rossa” - Note
di lettura all’articolo Usare la forza del collettivo per
diventare comunisti di La
Voce n. 30
(gennaio
2009)
È
assolutamente vero che
l’educazione borghese non insegna agli uomini e alle donne a trattare
collettivamente la propria vita, a superare i propri limiti e le
tendenze
negative, anzi fomenta l’individualismo, l’egoismo, l’arrivismo. Tu sei
solo
contro tutti. Per realizzarti devi utilizzare gli altri o agire a
discapito
degli altri. Nella società borghese quanto più un
individuo riesce ad
imbrogliare e a mostrarsi superiore agli altri, privo di limiti e
difetti,
tanto più riesce a stare a galla nel mare della competizione a
cui i rapporti
sociali borghesi lo costringono, salvo poi rigettarlo nel fango non
appena
questi limiti emergono nonostante gli sforzi per nasconderli.
Vedo bene questo
nel lavoro
precario. Molti lavoratori prendono la via più semplice per
loro, secondo
l’ideologia borghese: quella di lottare per il loro posto di lavoro,
facendo
vedere che sono più bravi degli altri, ligi al dovere, privi di
limiti, immuni
da critiche, sempre pronti ad essere i migliori e a considerare che ci
sono,
per natura, quelli bravi che lavorano e quelli incompetenti o che non
hanno
voglia di lavorare. Ritengono giusto che ci sia una competizione e che
solo una
minima parte di lavoratori abbia un posto di lavoro fisso, appagante,
dignitoso… la parte migliore, appunto. Quanto agli altri, i
peggiori,
se non si avvera il loro sogno, la colpa è loro.
I comunisti
devono ribaltare
questo comportamento e questa concezione malsani, mettendo al centro di
tutto
il collettivo. I limiti e le difficoltà individuali vanno
superati con l’aiuto
degli altri, con l’aiuto degli altri compagni. Però non basta
dire, enunciare
questo concetto, cioè far rilevare ai compagni i loro limiti
individuali, i
loro atteggiamenti liberalisti. Altrimenti accadrà che i
compagni (soprattutto
quelli più avanzati) accettano la critica, la prendono in
carico, l’assorbono,
ma non sono in grado di superare questi limiti. Ci sarà quindi
ancora una
autocritica fine a se stessa: il compagno ammetterà che studia
poco, che va in
ritardo alle riunioni, che non dà sempre i soldi per le quote,
ma giustificherà
la cosa con il fatto che non riesce a far di più, nonostante si
impegni, ecc…
come ben spiegato nell’articolo.
Prendere
coscienza del proprio
limite, senza avere strumenti adeguati per superarlo non basta. Per
avere
miglioramenti bisogna dare dei metodi idonei. Un metodo avanzato
è quello di
affidare compiti, attività, iniziative tattiche, battaglie,
campagne,
attraverso piani di lavoro, ad ambiti collettivi piuttosto che
individualmente
a singoli membri.
Spesso chi
dirige non lo fa in
misura sufficiente. Si fa prendere dai tempi, dagli eventi, dal
risultato. Non
pensa a formare bene i compagni.
Faccio un
esempio: se un
compagno non riesce a diffondere volantini, a raccogliere firme per una
campagna, bisogna farlo lavorare insieme ad altri che sanno farlo bene,
andare
in due o tre a diffondere insieme. Spesso invece si punta al risultato,
alla
quantità (meglio che ognuno va da sé e diffonde o
raccoglie più firme
possibili), che alla qualità (far sì che il compagno
vinca la sua timidezza e
riesca ad interagire con le masse). Fondamentale per la formazione
è che un
dirigente compia un processo di negazione della negazione. La
direzione
implica che un compagno diretto non sappia dirigersi. Il dirigente deve
invece
far diventare dirigenti i compagni che dirige.
Spesso, a causa
del problema
tempo (la scadenza elettorale, la mobilitazione per quel giorno,
l’esserci a
tutti i costi), il dirigente comunista non dirige i compagni, ma
semplicemente
li mobilità per l’attività, li utilizza per un risultato
quantitativo piuttosto
che farli maturare qualitativamente.