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Bisogna rielaborare le esperienze del
passato ed elaborare le esperienze presenti alla luce della teoria della
guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata
L’articolo Lotta
politica e lotte rivendicative di Nicola P. in La Voce n. 14
ha aperto una discussione che, attraverso gli articoli
Politica rivoluzionaria
di Ernesto V. (La Voce n. 15),
Sul secondo fronte della politica
rivoluzionaria di Rosa L. (La Voce n. 16) e
Bisogna distinguere leggi universali e
leggi particolari della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata
di Umberto C. (La Voce n. 17), ha dato una visione generale del corso
seguito dalla prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale nei singoli
paesi e complessivamente a livello mondiale e mostrato la strategia da
seguire consapevolmente durante la seconda ondata della rivoluzione
proletaria mondiale e in particolare per la prossima rivoluzione socialista
nel nostro paese.
Aggiungo alcune considerazioni che credo aiuteranno i
lettori della nostra rivista a meglio comprendere il contenuto della
discussione e la sua importanza.
Trattando del marxismo, Lenin (Le tre parti costitutive
del marxismo) distinse la filosofia del movimento comunista (i principi
e le leggi generali tratti dall’insieme delle scienze della natura e delle
scienze sociali, astraendo dai contenuti e dalle leggi particolari di ogni
scienza: il materialismo dialettico e storico), la dottrina economica del
movimento comunista (le contraddizioni e le leggi del modo di produzione
capitalista, dal cui seno si sviluppa la lotta per il comunismo) e il
socialismo (cioè natura, contraddizioni, leggi e metodi del movimento di
trasformazione della società borghese in società comunista, la teoria che
guida i comunisti nella loro azione per instaurare il socialismo e marciare
verso il comunismo). Il socialismo è quindi una scienza particolare. È il
frutto dell’elaborazione dell’esperienza della lotta della classe operaia
per prendere la direzione della società attuale e guidare la sua
trasformazione in società comunista, per emancipare dalla borghesia se
stessa e tutta l’umanità.(1) Come ogni scienza, anche
il socialismo non cade dal cielo, non è una conoscenza innata, non è il
frutto di qualche genio. È l’elaborazione dell’esperienza della rivoluzione
proletaria che i comunisti hanno compiuto fino a trovare relazioni, leggi e
principi che la governano. Quindi è una scienza che si è costruita nel corso
del tempo, attraverso verifiche, errori e rettifiche, ad opera dei teorici
comunisti. I principali elaboratori del pensiero comunista sono stati finora
Marx (1818-1883), Engels (1820-1895), Lenin (1870-1924), Stalin (1879-1853),
Mao Tse-tung (1893-1976).
Una delle tesi del socialismo è che la rivoluzione
socialista, se considerata nel suo corso complessivo, dal suo inizio alla
sua vittoria, dalla formazione dei primi nuclei organizzati di comunisti
fino all’instaurazione della dittatura del proletariato (ossia all’inizio
della fase socialista - della fase della transizione delle masse popolari
dal capitalismo al comunismo sotto la direzione della classe operaia) è un
fenomeno sociale che, per le contraddizioni che costituiscono la natura del
fenomeno, per le relazioni tra esse, per il suo svolgimento e le leggi che
lo governano, per i metodi con cui viene condotta, appartiene più al genere
della campagna militare o, meglio ancora, della guerra, che al genere della
campagna elettorale, più che a quello della lotta tra due partiti
nell’ambito dei regimi borghesi, più che a quello della lotta sindacale o
della contrattazione commerciale.
Questa è la conclusione che tiriamo dal bilancio
dell’esperienza della rivoluzione socialista, dei quasi 160 anni trascorsi
dalla pubblicazione del
Manifesto del
partito comunista (1848). Da questa conclusione tiriamo
l’indicazione che i comunisti devono studiare la dottrina militare, l’arte e
la scienza militare per dare soluzioni giuste ai problemi della lotta per
instaurare il socialismo. Tutti i grandi dirigenti del movimento comunista
lo hanno fatto. Il disinteresse di un partito comunista per lo studio
dell’arte e della dottrine militari sono un indizio pressoché sicuro che il
partito non sta svolgendo in modo giusto il suo ruolo. Questo
indipendentemente dal fatto che in quella fase il partito abbia o non abbia
sue formazioni armate. La guerra non è solo, e a volte neanche
principalmente, una questione di armi. È un particolare rapporto di
antagonismo tra gruppi umani: famiglie, tribù, popoli, classi. La lotta per
instaurare il socialismo è una guerra tra classi: la classe operaia vuole
prendere la direzione del resto delle masse popolari (essa può emancipare se
stessa dalla dipendenza dalla borghesia solo emancipando tutta l’umanità),
la borghesia cerca in ogni modo e con ogni mezzo di conservare la direzione
che ha conquistato anni fa togliendola ai nobili e al clero.
La classe operaia può concludere questa guerra tra classi
con l’eliminazione della borghesia, mentre la borghesia non può concluderla
con l’eliminazione della classe operaia. Essa vive sfruttando la classe
operaia, non ne può fare a meno, la rigenera continuamente. Può solo imporre
delle tregue infliggendo pesanti sconfitte alle forze organizzate della
classe operaia. Le sconfitte possono essere dovute alla forza della
borghesia o a errori delle forze organizzate della classe operaia. Vi è
l’andamento della guerra a livello dei singoli paesi e l’andamento della
guerra a livello mondiale. I due movimenti sono distinti, ma si influenzano
reciprocamente.
La guerra popolare rivoluzionaria è la scienza di questa
particolare guerra. Essa è stata compiutamente elaborata da Mao Tse-tung
riferendosi però al caso particolare della Cina. Sta a noi oggi elaborarla
sia per quanto riguarda il nostro paese come comunisti italiani, sia a
livello mondiale come membri del movimento comunista internazionale. Come
ogni scienza essa è frutto dell’elaborazione dell’esperienza passata e si
arricchisce man mano che l’esperienza e il bilancio dell’esperienza
avanzano. La sua verifica sta sia nel fatto che alla sua luce risultano
chiare le connessioni tra tutti gli elementi dell’esperienza passata che
prima sembravano casuali e sconnessi, sia nel fatto che grazie ad essa
possiamo guidare con maggiore successo la nostra pratica.
Sulla scorta di tutta l’esperienza passata elaborata alla
luce della concezione comunista e dell’analisi della situazione attuale
condotta con il materialismo dialettico, noi oggi sappiamo che la classe
operaia instaurerà il proprio Stato, la dittatura del proletariato,
conducendo fino alla vittoria una guerra popolare rivoluzionaria di lunga
durata.
Diamo uno sguardo all’esperienza passata.
Una volta che ebbero chiarito, rispetto agli anarchici e ai
vari altri tipi di riformatori sociali, che per emanciparsi dalla soggezione
alla borghesia nella vita civile (nei traffici, nei contrasti e nelle
relazioni della vita di ogni giorno) la classe operaia doveva prendere la
direzione politica della società, ai comunisti si pose la domanda: come
avrebbe fatto la classe operaia a impadronirsi del potere politico (a
instaurare il proprio Stato)?(2)
A questa domanda nel movimento comunista internazionale
dirigenti e partiti diedero diverse e divergenti risposte. Nel movimento
comunista si succedettero ripetute lotte tra due linee e divisioni dell’uno
in due. Il movimento comunista ha dato via via risposte più vere man mano
che sono progrediti l’esperienza e il bilancio dell’esperienza.
Marx ed Engels fino al tempo della Comune di Parigi (1871)
risposero che la classe operaia si sarebbe impadronita del potere o avrebbe
instaurato il suo Stato (la distinzione tra le due tesi divenne chiara solo
grazie all’esperienza della Comune di Parigi e venne esposta da Marx in
La guerra civile in Francia e nella Critica al programma di Gotha)
nel corso di un’insurrezione popolare: i comunisti avrebbero preso il potere
come esponenti più avanzati della rivolta popolare.
F. Engels fece esplicitamente autocritica di questa risposta
nel 1895, nella Presentazione della riedizione dell’opuscolo di Marx, Le
lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Egli sostenne che la classe
operaia sarebbe riuscita a instaurare il suo potere solo dopo un periodo di
accumulazione delle forze rivoluzionarie in seno alla società borghese. Egli
indicava quest’accumulazione di forze rivoluzionarie nell’opera svolta dalla
seconda Internazionale, e in particolare nell’attività della
Socialdemocrazia Tedesca (SDT), il partito modello della seconda
Internazionale. Questa partecipava alla lotta politica borghese, promuoveva
l’organizzazione di ampi sindacati di categoria e di molte altre
organizzazioni di massa (culturali, sportive, cooperative, ecc.), svolgeva
un’attiva opera di reclutamento di operai e di formazione ideologica,
politica e al lavoro politico organizzato. La sua forza parlamentare
cresceva di elezione in elezione. Questa era l’accumulazione delle forze
rivoluzionarie. Engels aveva chiaro che la conquista del potere per via
parlamentare era impossibile. La borghesia avrebbe mandato all’aria
parlamento ed elezioni quando si fosse trovata alle strette. Egli però
rimandava la conquista del potere ad una imprecisata risposta della classe
operaia a questa rottura della sua propria legalità che la borghesia avrebbe
prima o poi compiuto. F. Engels tuttavia rifiutò più volte la linea della
“legalità a tutti i costi”, non solo in relazione al comportamento e
all’azione pratica, ma anche in relazione alla propaganda del partito. Nel
1891 (quando la SDT aveva in corso l’elaborazione del Programma di Erfurt)
Engels pubblicò di sua iniziativa la Critica del programma di Gotha
che Marx aveva scritto nel 1875, ma che i dirigenti della SDT, a cui Marx
l’aveva diretta, avevano tenuto segreta per scrupoli legalitari, per non
incorrere nei rigori della legge dello Stato tedesco.
Non a caso la domanda di come avrebbe fatto la classe
operaia a impadronirsi del potere politico (a instaurare il proprio Stato)
si pose ai comunisti in forma più pressante e diffusa all’inizio del secolo
XX, agli albori dell’epoca imperialista del capitalismo, che è l’epoca della
decadenza della società borghese e dell’ascesa della rivoluzione socialista.
Il movimento comunista aveva bisogno di una risposta più chiara, più vera,
più avanzata.
I dirigenti e i partiti che all’inizio del secolo XX non si
posero questa domanda, erano dirigenti e partiti arretrati, velleitari,
superficiali. Eludevano i problemi attuali, pressanti, decisivi del
movimento comunista: andavano per farfalle mentre la carestia era alle
porte. Così fu complessivamente per la seconda Internazionale, salvo che per
il Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR) guidato da Lenin. Quando
con lo scoppio della prima Guerra Mondiale (1914) si crearono le condizioni
in cui le forze che avevano accumulato dovevano essere impegnate in una fase
più avanzata della guerra, oggi diremmo dovevano passare dalla fase della
difensiva strategica alla fase dell’equilibrio strategico, quasi tutti i
partiti che componevano la seconda Internazionale si rivelarono non
all’altezza della situazione. Ripiegarono. Avevano accumulato forze senza
tener conto del passaggio alla fase successiva della guerra, senza una
visione strategica abbastanza giusta. Si trattava di forze inadeguate al
passaggio alla fase successiva. In quasi tutti i paesi la destra finì al
servizio della borghesia. La sinistra dovette essa pure ripiegare e
ricominciare dalla fase dell’accumulazione delle forze rivoluzionarie. In
molti paesi e complessivamente a livello mondiale il movimento comunista, la
classe operaia e le masse popolari pagarono cara la superficialità dei
dirigenti e dei partiti della seconda Internazionale.
Alcuni dirigenti tuttavia si erano posti apertamente la
domanda e avevano cercato di dare ad essa delle risposte attingendo
all’esperienza.
I riformisti e i revisionisti, Eduard Bernstein (1850-1932)
e altri, la destra della seconda Internazionale, rispondevano che la classe
operaia si sarebbe impadronita dello Stato borghese partecipando col suo
partito alla lotta politica borghese, come un partito tra gli altri del
sistema politico borghese, e lo avrebbe fatto funzionare a favore proprio e
del resto delle masse popolari. Essi negavano che la democrazia borghese
fosse un regime su misura della borghesia, sostenevano che era democrazia
per tutti. Tanto più rifiutavano di vedere che la democrazia borghese aveva
in realtà cessato di esistere e lasciato il posto al militarismo (come si
diceva allora), alla controrivoluzione preventiva diciamo noi oggi. La loro
risposta sulla via da seguire per la conquista del potere rispecchiava
sostanzialmente l’attività che la maggior parte dei partiti della seconda
Internazionale effettivamente conducevano, in particolare la linea che la
SDT seguiva nella pratica.
Proprio perché negava la trasformazione avvenuta nel regime
politico della borghesia, anche Karl Kautsky (1854-1938), che pure si
opponeva al revisionismo di Bernstein, sosteneva (vedasi il suo scritto
La via al potere del 1909) che la SDT si sarebbe impadronita del potere
per via elettorale e parlamentare, “se la borghesia non rompeva la sua
legalità”. Egli nel 1909 poneva questa riserva, tanto l’eventualità era
probabile, ma non avanzava proposte per il caso che la borghesia rompesse la
sua legalità, come effettivamente avvenne nel 1914 dovunque i socialisti
rifiutarono di collaborare ai suoi ordini.
Contro Bernstein e Kautsky, si collocava Rosa Luxemburg
(1871-1919), autorevole dirigente della SDT.
Già nel 1900, nel suo intervento al congresso di Parigi
della seconda Internazionale, Luxemburg disse: “All’inizio del movimento
socialista, si supponeva in genere che sarebbe stata un’ampia crisi
economica a segnare l’inizio della fine, la grande disfatta del capitalismo.
Ora questa supposizione appare molto meno probabile. Diventa sempre più
probabile che sarà al contrario una vasta crisi politica mondiale che
suonerà l’ultima ora del capitalismo”. Come si vede, Rosa Luxemburg era
convinta che la fine del capitalismo sarebbe stata un avvenimento unico
mondiale. Nonostante l’evidente sviluppo diseguale economico, politico e
culturale dei vari paesi, Luxemburg dava già per compiuta l’unificazione
mondiale (la “mondializzazione” diremmo oggi) che il sistema imperialista
per la prima volta creava. Escludeva quindi che la classe operaia avrebbe
instaurato inizialmente il socialismo in uno o più paesi e che la
rivoluzione socialista avrebbe trionfato in tutto il mondo solo attraverso
la crescita graduale del numero di paesi in cui essa trionfava.
Più tardi, tenendo conto dell’esperienza della prima
rivoluzione russa (1905-1907) a cui aveva partecipato anche personalmente,
Rosa Luxemburg rielaborò la sua risposta. Essa sostenne (vedasi il suo
scritto Sciopero di massa, partito e sindacati del 1906) che la
classe operaia si sarebbe impadronita del potere con uno sciopero politico
generale di massa (cioè non compiuto solo dalla parte organizzata del
proletariato, ma in cui questa parte avrebbe trascinato una gran parte delle
masse popolari). Essa cercava di tener conto dell’esperienza, ma la vedeva
alla luce del modo di pensare degli anarco-sindacalisti. Essa si rendeva ben
conto che la SDT era incapace di portare la classe operaia alla conquista
del potere, ma risolveva il problema appellandosi alla iniziativa spontanea
delle masse, anziché risolverlo con la lotta per creare un partito
all’altezza dei suoi compiti, che accumulasse forze rivoluzionarie adeguate
a passare alla fase successiva della guerra. Essa sosteneva che “gli
scioperi di massa, le lotte politiche di massa ... [possono risultare solo
da] ... una vera e risoluta azione di classe rivoluzionaria, che sia in
grado di guadagnare e trascinare nella propria scia i grandi settori di
masse proletarie non organizzate, ma rivoluzionarie per disposizione e
condizione”. Posta di fronte alla questione da dove mai scaturivano questa
“disposizione e condizione” rivoluzionarie delle masse non organizzate, essa
rispondeva che erano “il semplice risultato della diretta azione
rivoluzionaria delle masse”. In chiaro: la rivoluzione la facevano le masse
rivoluzionarie e queste diventavano rivoluzionarie perché facevano la
rivoluzione. Il gatto si mordeva la coda. Se avesse ammesso che la “vera e
risoluta azione di classe rivoluzionaria” che trascina sulla sua scia grandi
masse non organizzate non poteva venire dalle stesse masse non organizzate,
ma la compie la parte organizzata del proletariato e delle masse popolari,
essa avrebbe dovuto mettere in questione la SDT e dare ragione a Lenin sul
ruolo decisivo svolto dal partito comunista. E avrebbe anche dovuto
riconoscere che la preparazione della parte organizzata del proletariato e
delle masse popolari era diversa da paese a paese e che quindi, non fosse
che per questo, anche la conquista del potere non sarebbe stata simultanea
in tutti i paesi.
Lenin traeva anche lui dall’esperienza della prima
rivoluzione russa il bilancio espresso dalle frasi della Luxemburg che ho
citato, ma sosteneva appunto che la “vera e risoluta azione di classe
rivoluzionaria” che trascina sulla sua scia grandi masse non organizzate la
compie la parte organizzata del proletariato e delle masse popolari, che
quindi deve essere formata in modo da essere capace di svolgerla.
L’accumulazione delle forze rivoluzionarie consiste appunto nella raccolta e
formazione di questa parte organizzata del proletariato e delle masse
popolari. Esse, quando sopravvengono determinate condizioni, sono in grado
di trascinare il resto delle masse popolari in un’azione rivoluzionaria che
instaura il nuovo potere. L’accumulazione delle forze rivoluzionarie
consiste insomma nella costruzione già nella società borghese del partito
comunista adeguato ai compiti rivoluzionari e delle sue organizzazioni di
massa. Lenin tuttavia trattò questa come una legge particolare del movimento
rivoluzionario russo, non comprese subito che questa legge era una legge
universale. Solo dopo il 1914, a seguito del tradimento di una parte della
seconda Internazionale e dell’impotenza dell’altra, incominciò a rendersi
conto che si trattava di una legge universale (vedasi Il fallimento della
seconda Internazionale del 1914 e A proposito dell’opuscolo di Junius
[cioè di Rosa Luxemburg], del 1916).
Quanto alla Russia, Lenin sostenne che la classe operaia
dell’impero russo avrebbe preso il potere creando un governo rivoluzionario
operaio-contadino come sintesi degli organismi dirigenti dell’insurrezione
delle masse popolari, in primo luogo degli operai e dei contadini, contro il
regime zarista. Ma egli padroneggiava talmente la dialettica materialista
che imparò via via dall’esperienza rivoluzionaria. Egli trovò soluzioni
adeguate alla natura della rivoluzione russa sia dopo la rivoluzione di
febbraio e la fase dell’equilibrio strategico sia dopo, quando si rese conto
che dall’occidente il proletariato non sarebbe venuto in aiuto alla
rivoluzione russa ma che d’altra parte la crisi politica impediva alla
borghesia di portare un aiuto decisivo alla controrivoluzione russa e quindi
vi erano le condizioni per un’offensiva rivoluzionaria limitata al
territorio russo. Stalin lo seguì su questa strada, il socialismo venne
instaurato nel primo paese e nel corso di 35 anni circa riunì una massa
enorme di esperienza di problemi e di soluzioni dei problemi che si
ponevano.
Con la vittoria in Russia però a livello mondiale la
rivoluzione era passata nella fase dell’equilibrio strategico. Essa
disponeva di una base territoriale e di proprie forze armate. Nel mondo le
forze della rivoluzione e della controrivoluzione si fronteggiavano e
nessuna delle due era in grado di distruggere l’altra. Questo periodo si
protrasse fino alla fine della seconda Guerra Mondiale. Durante questo
periodo, grazie all’opera compiuta dalla prima Internazionale Comunista e ai
suoi partiti, le forze della rivoluzione si accrebbero fino a conquistare la
superiorità. Nel novembre del 1957, alla fine della prima Conferenza di
Mosca che riunì 76 partiti comunisti di altrettanti paesi, di cui 12 al
potere, Mao Tse-tung tirò il bilancio della costituzione del campo
socialista, del crollo del sistema coloniale e delle rivoluzioni ancora in
corso in vari paesi coloniali, della forza raggiunta dai partiti comunisti
di vari paesi imperialisti e dichiarò: “Ora il vento dell’ovest non prevale
più sul vento dell’est, ma è quello dell’est che prevale su quello
dell’ovest” (vedi Agli studenti cinesi a Mosca, nel vol. 15 di
Opere di Mao Tse-tung). Vi erano le condizioni perché il movimento
comunista a livello mondiale passasse all’offensiva.
I revisionisti avevano però già preso il potere nel Partito
comunista dell’Unione Sovietica e in altri partiti comunisti e non ne
vollero sapere. Nonostante la lotta condotta da vari partiti comunisti, tra
cui in primo luogo il Partito comunista cinese, il movimento comunista a
livello mondiale incominciò a rallentare la sua progressione e poi iniziò a
decadere. A conferma che se non si compiono i passi avanti possibili e
necessari, si retrocede. Come accadde anche in Italia dopo la vittoria della
Resistenza.
Oggi siamo nuovamente, sia pure a un livello superiore,
nella fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie. Il livello superiore
consiste, tra l’altro, nel fatto che noi conduciamo l’accumulazione delle
forze ricchi della scienza accumulata dal bilancio dell’esperienza passata e
potendo trarre ulteriori insegnamenti da quella esperienza. Cosa di cui si
privano quelli che si dissociano dal movimento comunista, che se ne rendano
o no conto.
In particolare è per noi oggi chiaro il ruolo insostituibile
del partito comunista. Per questo ci opponiamo fermamente a ogni progetto di
rivoluzione senza partito perché è condannato alla sconfitta.
È per noi oggi chiaro il ruolo insostituibile della
mobilitazione delle masse popolari. Per questo ci opponiamo fermamente a
ogni progetto di rivoluzione senza la mobilitazione delle masse popolari.
È per noi oggi chiaro che la rivoluzione sarà un processo di
lunga durata e che attraverserà varie tappe. Per questo ci opponiamo
fermamente a ogni progetto di conquista del potere a breve termine e nello
stesso tempo durante ogni fase conduciamo le cose in modo da essere pronti e
capaci di passare alla fase successiva appena si presenteranno le condizioni
necessarie e facciamo quanto sta in noi per creare quelle condizioni. La
scoperta delle leggi universali della guerra popolare rivoluzionaria è un
compito di tutto il movimento comunista internazionale. A noi in più compete
la scoperta delle leggi particolari della guerra popolare rivoluzionaria per
il nostro paese e la conduzione pratica passo dopo passo e fase dopo fase,
di questa guerra gloriosa, fino all’instaurazione del socialismo.
Tonia N.
Note
1. Vi è una differenza di principio e
politicamente determinante tra “miglioramento delle condizioni materiali,
morali e intellettuali delle masse popolari” e “emancipazione delle masse
popolari, in primo luogo della classe operaia, dalla soggezione alla
borghesia e in generale a classi sfruttatrici con estinzione quindi della
divisione dell’umanità in classi”. I revisionisti dopo la seconda Guerra
Mondiale nel nostro paese hanno gradualmente trasformato il movimento
comunista da movimento che lottava per l’emancipazione della classe operaia
dalla borghesia in un movimento che lottava per il miglioramento delle
condizioni materiali, morali e intellettuali delle masse popolari.
Il bambino di una famiglia agiata gode in generale di ottime
condizioni di vita, così pure lo schiavo di un padrone magnanimo e
filantropo. Ma né l’uno né l’altro sono emancipati. Sia l’uno che l’altro
dipendono rispettivamente dai genitori e dal padrone. L’esempio chiarisce la
differenza qualitativa tra miglioramento delle condizioni di vita ed
emancipazione.
Relativamente all’URSS ad un certo punto Trotsky obiettò che
gli operai vivevano peggio dei commercianti, dei kulaki, ecc. Contro questa
concezione insorsero Lenin e Stalin. Essi fecero notare che la questione
chiave era che gli operai sovietici avevano il potere e, stante la
situazione, decidevano di sottomettere ai propri obiettivi, alla propria
direzione alcune classi e strati della popolazione assegnando loro
condizioni di vita e redditi privilegiati. A proposito di questa questione
anche Gramsci attaccò direttamente Trotsky. Gli scritti di Lenin degli anni
1918-1923 sono pieni di considerazioni relative a questa questione.
Kruscev e i suoi complici ripresero la concezione di
Trotsky: l’importante non era l’emancipazione, ma le condizioni di vita. E
si è visto dove sono finite le condizioni di vita dei lavoratori dell’URSS.
2. Queste due formulazioni
(“impadronirsi del potere politico”, “instaurare il proprio Stato”)
implicano differenze profonde. La prima, formulata più esplicitamente e
precisamente, diventa “impadronirsi dello Stato borghese e servirsene ai
propri fini”. La seconda, formulata più esplicitamente e precisamente,
diventa “instaurare un proprio Stato al posto dello Stato borghese,
spazzando via dal terreno lo Stato borghese”. Questa differenza venne ben
esplicitata e risolta, a favore della seconda risposta, da Lenin
teoricamente (in Stato e rivoluzione del 1917) e dall’esperienza
della prima ondata della rivoluzione proletaria sul piano pratico,
dell’esperienza empirica. Lo Stato borghese, anche se la classe operaia
potesse per qualsiasi accidente e combinazione di eventi impadronirsene, non
è adatto a funzionare come strumento dell’emancipazione delle masse popolari
dall’oppressione di classe e dell’estinzione della divisione della
popolazione in classi. Così come il potere imperiale, papale o feudale non
era in grado di funzionare come strumento dell’espansione e del
consolidamento dei traffici mercantili, della libertà individuale e
dell’uguaglianza borghesi. Questo benché la differenza fosse minore, perché
in tutti questi casi si trattava dell’organismo con cui una minoranza
opprimeva una maggioranza della popolazione nell’ambito di una società
divisa in classi.