Indice delle Edizioni Rapporti Sociali

 

Marco Martinengo

I primi paesi socialisti

 nel 50° anniversario della morte del compagno Stalin

Stalin

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2003 - nel 50° anniversario della morte del compagno Stalin

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Indice

1.

Studiare l'esperienza storica dei primi paesi socialisti, prima della biografia di Stalin (concezione marxista e concezione borghese della storia)

2.

Non l'esperienza storica dei primi paesi socialisti, ma l'esperienza della società borghese ha dimostrato che l'avvento della società comunista è inevitabile.

3.

Breve schizzo della formazione, ascesa e declino dei primi paesi socialisti.

4.

Il ruolo storico dei primi paesi socialisti.

5.

I primi paesi socialisti hanno dimostrato che la borghesia non è in grado di vincere un paese socialista aggredendolo o assediandolo (cioè dall'esterno).

6.

Ciò che rese impossibile alla borghesia di vincere un paese socialista fu l’unità tra la linea di trasformazione comunista della società e il sistema di direzione messo in vigore dai partiti comunisti.

7.

Quel sistema di direzione fu efficace solo perché e finché attuò una linea di trasformazione comunista della società.

8.

Perché e come i primi paesi socialisti presero la via del logoramento che li ha condotti al crollo.

9.

Conclusioni: i principali insegnamenti dei primi paesi socialisti per la seconda ondata della rivoluzione proletaria.

Il testo del 2003 è stato nuovamente impaginato nell’agosto 2018, attenendosi rigorosamente all’edizione del 2003. Le uniche eccezioni riguardano le note 9 e 14: abbiamo aggiunto il rinvio al Manifesto Programma del (nuovo) Partito comunista italiano, pubblicato dalle Edizioni Rapporti Sociali nel 2008

 

1.   Studiare l'esperienza storica dei primi paesi socialisti, prima della biografia di Stalin (concezione marxista e concezione borghese della storia).

 

Dobbiamo approfittare del 50° anniversario della morte di Stalin (5 marzo 1953) per studiare l’esperienza dei primi paesi socialisti e farla conoscere.

I borghesi e quanti per la loro concezione del mondo restano nell’ambito dell’influenza della borghesia, se si occuperanno di questo anniversario, discuteranno dell’individuo Stalin (1879-1953), delle sue caratteristiche e del suo ruolo nella storia. La borghesia per sua natura ha una concezione della storia fortemente individualista. Essa, anche se ha riconosciuto che la storia degli uomini non la fa Dio, resta ferma alla convinzione che nel bene e nel male la facciano i grandi personaggi. Per essa i primi paesi socialisti sono una creazione dei grandi personaggi che li diressero. La maggior parte dei borghesi che si occuperanno dell’anniversario, ritireranno quindi fuori dagli armadi discorsi più o meno elaborati sui “crimini di Stalin e dello stalinismo”. È inevitabile che sia così. Effettivamente per i borghesi per decenni Stalin ha personificato l’incubo della fine dei loro valori e dei loro privilegi, l’incubo che i primi paesi socialisti hanno fatto per decenni gravare sulla loro esistenza. Quelli che si vorranno distinguere, concederanno che l’uomo aveva anche delle qualità. Quelli che vorranno far colpo sui frequentatori dei loro salotti sosterranno che fu un uomo di grandi qualità. Sono tutti discorsi che non ci interessano. Essi hanno un comune obiettivo politico: denigrare l’esperienza dei primi paesi socialisti o almeno distrarre l’attenzione da quella esperienza che oggi è invece di grande importanza per la storia futura dell’umanità. Di più: è una grande e attuale fonte di insegnamento per i compiti che ci aspettano in questa fase di rinascita del movimento comunista.

La concezione marxista della storia, che è la nostra, ovviamente riconosce che vi sono differenze tra i ruoli svolti dai singoli individui nella vita sociale e nella storia. E Stalin ha avuto un grande ruolo nell’esperienza dei primi paesi socialisti.(1) Egli ha diretto per circa 30 anni il partito comunista del primo e più importante paese socialista, l’Unione Sovietica. Ha impersonato da un angolo all’altro del mondo le speranze, le passioni e le iniziative che questo paese ha suscitato e alimentato nelle classi e nei popoli oppressi lungo gran parte del secolo passato. Per decenni “fare come la Russia” fu la luce che illuminava la vita di milioni di uomini e donne oppressi e la minaccia che turbava la vita dei borghesi, dei nobili, del clero e dei ricchi in generale. Ma è possibile individuare giustamente i differenti ruoli degli individui, anche dei più importanti, solo sulla base della comprensione delle caratteristiche del movimento sociale in cui essi hanno operato. Lo stesso individuo con le stesse caratteristiche personali se, per ipotesi, compie le stesse azioni in contesti e circostanze sociali diversi, dà luogo di fatto a fenomeni assolutamente diversi, che possono addirittura essere opposti. Consideriamo un uomo tutto slancio e  animosità: in battaglia può essere un soldato apprezzato; ritornato alla vita civile rischia di non riuscire a integrarsi nella società. Consideriamo un operaio appassionato del proprio lavoro: nella società capitalista rischia di essere strumentalizzato dal padrone e restio a partecipare alla lotta di classe; nel socialismo ha molte probabilità di diventare un elemento d’avanguardia.

 

1. Sulla questione di Stalin in Opere di Mao Tse-tung vol. 20 (Edizioni Rapporti Sociali).

 

Non a caso da quando è entrata nella fase imperialista la borghesia rifugge dall’esaminare il contesto sociale concreto e trovare nella loro relazione con esso il significato delle azioni degli individui: perché se ci chiediamo che ruolo hanno avuto nel risolvere i problemi fondamentali della loro epoca, emerge il ruolo negativo anche dei suoi esponenti più celebrati nell’attuale fase imperialista. Se invece si costruisce la storia con la concezione borghese, il campo resta aperto a ogni truffa e a ogni fantasia. Improvvisamente a fine gennaio di quest’anno a noi italiani hanno detto che abbiamo avuto per anni tra noi un genio e un santo, un “avvocato dei lavoratori”: il Giovanni Agnelli che gli operai italiani avevano subito per anni nella veste di sfruttatore. E Gabriel Nissim, ideatore dell’iniziativa sionista del “Giardino dei Giusti di tutto il mondo”, teorizza: “Non importa che uno sia fascista, comunista o fondamentalista: l’importante è che sappia riconoscere il male e scegliere l’uomo”. Resta misterioso cosa sia quest’uomo che un fascista e un comunista entrambi egualmente riconoscerebbero, finché non si pone la frase di Nissim in relazione con il suo contesto. Allora essa diventa la tesi razzista che l’uomo è l’ebreo perseguitato e che va bene anche essere fascisti a condizione di aiutare gli ebrei, che per Nissim sono ancora il “popolo eletto”.

Non dobbiamo farci distogliere dall’esperienza storica dei primi paesi socialisti, a favore di discorsi (denigratori o elogiativi che siano) sulle caratteristiche personali di Stalin. Solo studiandoli nel loro concreto contesto storico potremo individuare i meriti e gli errori di dirigenti comunisti che, come Stalin, hanno diretto quella grande e titanica impresa di cui parleremo nel seguito. In questa fase poi, per chi vuole essere comunista, è particolarmente importante e urgente conoscere, studiare e capire l’esperienza storica dei primi paesi socialisti. Di fronte al marasma economico, politico e culturale in cui ha sprofondato il mondo, la classe dominante e gli individui al suo servizio o comunque succubi della sua influenza ideologica obiettano che “comunque non è possibile un mondo diverso”, che “comunque non è possibile un ordinamento sociale diverso” e cercano di indurre alla rassegnazione e alla disperazione o al massimo a cercare di contenere gli eccessi e di rabberciare qua e là le falle più intollerabili della società attuale. I borghesi più progressisti arrivano a predicare e praticare l’elemosina e la beneficenza: riconoscono che anche i proletari hanno diritto a mangiare a sazietà. I più audaci, arrivano a esortare gli esponenti della classe dominante a “creare un fondo internazionale per porre fine alla fame e alla miseria”! I borghesi combinano l’oblio e la denigrazione dei primi paesi socialisti per impedire che si diffonda la coscienza che un mondo diverso, un ordinamento sociale diverso non solo è possibile, ma ha già mosso i primi passi, ha  dato le prime prove di sé nei primi paesi socialisti costruiti dalla prima ondata della rivoluzione proletaria nella prima metà del secolo appena finito.

Perché la borghesia e i suoi seguaci trattano i primi paesi socialisti come la pecora nera della storia dell’umanità? Noi siamo immersi da quasi 30 anni nella seconda crisi generale del capitalismo. La classe dominante, la borghesia imperialista, ha grande interesse a nascondere o denigrare l’esperienza di quei paesi che sorsero come via di uscita alla prima crisi generale del capitalismo (1910-1945) e che sottrassero per alcuni decenni al dominio della borghesia imperialista fino a un terzo dell’umanità. È altrettanto evidente il nostro interesse e l’interesse di tutti quanti cercano una via d’uscita dall’attuale marasma della seconda crisi generale del capitalismo a studiare con cura quell’esperienza.

 

2.   Non l'esperienza storica dei primi paesi socialisti, ma l'esperienza della società borghese ha dimostrato che l'avvento della società comunista è inevitabile.

"Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi di classe subentra un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti" (Marx-Engels, Manifesto del partito comunista, 1848)

La comprensione che la società borghese lascerà prima o poi il posto alla società comunista non è derivata dalla comparsa e dalle prestazioni offerte dai primi paesi socialisti. Quella coscienza era precedente all’instaurazione dei primi paesi socialisti. Aveva preceduto di settant’anni la rivoluzione d’Ottobre (1917) che segnò l’inizio dell’instaurazione del primo dei paesi socialisti, l’Unione Sovietica, su gran parte del territorio su cui fin allora si era esteso l’impero degli zar di Russia. Che la società comunista avrebbe prima o poi inevitabilmente sostituito la società borghese è una scoperta fatta da Marx ed Engels nella prima metà del secolo XIX, circa 150 anni fa, sulla base dello studio dell’evoluzione della società borghese e di ciò che essa rappresentava nella storia dell’umanità. Nel Manifesto del partito comunista (1848) essi annunciano e spiegano questa scoperta. Gli uomini hanno oramai costruito forze produttive materiali e intellettuali sufficienti per non essere più costretti a vivere nella precarietà e a spendere gran parte della loro vita per tentare di strappare alla natura quanto necessario a vivere. Le forze produttive che consentono questo passaggio storico hanno carattere collettivo. Questi due fattori, che gli uomini hanno creato e continuamente incrementano proprio sotto la direzione della borghesia stessa, rendono possibile e necessario l’avvento della società comunista. Con la precisione e la sicurezza con cui di fronte ad una donna incinta si può indicare che prima o poi nascerà un nuovo uomo, senza aspettare che esso sia effettiva mente nato e a prescindere dal come e dal quando del parto e dalle accidentalità della sua futura vita. L’evoluzione che la società borghese e l’umanità nel suo complesso hanno compiuto nei 150 anni trascorsi da quando Marx ed Engels fecero questa scoperta, l’ha pienamente confermata. Noi oggi siamo in grado di misurare i passi compiuti dall’umanità verso quel parto, in quella trasformazione, anche se non siamo ancora in grado di stabilire quando e in quali forme essa si completerà. Perché si tratta di una creazione che gli uomini, più in particolare gli operai e le masse popolari sotto la loro direzione, compiranno liberamente: cioè provando, correggendo e riprovando, come è avvenuto per tutte le grandi trasformazioni storiche che gli uomini hanno compiuto nei 5 mila anni della loro vita che noi conosciamo. Non esiste né un Dio né un genio che sa già tutto e ci guida: quindi questo parto può avvenire solo con l’intervento attivo e mirato delle grandi masse mobilitate, organizzate e dirette dai partiti comunisti: “la violenza è l’ostetrica della storia”. Ma questo è un discorso diverso da quello che vogliamo ora fare. Noi vogliamo ora occuparci invece proprio 1. delle forme che hanno avuto i primi paesi socialisti, 2. degli insegnamenti che hanno dato a quelli che oggi lottano contro la borghesia imperialista e contro le altre forze conservatrici e reazionarie.

Per ricavare dall’esperienza dei primi paesi socialisti gli insegnamenti che essa contiene bisogna però valutare i paesi socialisti con le categorie che sono loro proprie. Bisogna considerarli una formazione economico-sociale nuova comparsa nella storia e lo studioso deve scoprire le sue categorie e le sue contraddizioni specifiche. Se dobbiamo studiare una nuova specie animale, approderemo a poco se ci limitiamo a eguagliarla a un’altra che già conosciamo. Bisogna in particolare evitare di “misurare i paesi socialisti col metro dei paesi capitalisti”. Chi persiste nel farlo e cerca di assimilare il sistema economico-sociale dei primi paesi socialisti o al capitalismo di Stato o al dispotismo asiatico o a qualche altra formazione economico-sociale del passato, si mette in una posizione analoga a quella di quegli esponenti del mondo feudale che per secoli, lungo tutto il periodo dell’affermazione del modo di produzione capitalista e della società borghese, persistettero a valutare la nuova società che stava sorgendo con il metro della vecchia. Oggi balza all’occhio che nei loro giudizi sui borghesi, sulle loro attività, sui loro costumi, sul loro carattere l’insipienza degli autori è almeno pari al disprezzo e alla condanna del nuovo mondo di cui traboccano.

I primi paesi socialisti sono stati il primo tentativo pratico e su grande scala compiuto dalla moderna classe operaia di guidare l’insieme dei lavoratori fin allora sfruttati e oppressi ad abbandonare la propria condizione servile e le concezioni ed abitudini ad essa connesse, frutto di una storia millenaria di divisione in classi, a creare relazioni sociali e concezioni basate sull’associazione dei lavoratori che attuano in misura crescente il dominio degli stessi lavoratori associati sulla propria attività e su se stessi marciando così passo dopo passo verso la società comunista. Chi non è convinto che questo è il compito storico cui attesero i primi paesi socialisti, è inutile che studi la loro esperienza: deve studiare meglio l’esperienza dei paesi capitalisti fino a ca pire dove porta il movimento delle loro specifiche contraddizioni. Chi ha chiaro il compito storico dei paesi socialisti, per cogliere gli insegnamenti dell’esperienza dei primi di essi, deve chiedersi: fino a che punto sono arrivati i primi paesi socialisti nel realizzare quel loro compito prima di invertire la direzione di marcia? Come, attraverso quali misure, istituti e movimenti, ci sono arrivati?

 

  

3.   Breve schizzo della formazione, ascesa e declino dei primi paesi socialisti.

 

Il primo paese socialista, l’Unione Sovietica, venne costituito durante la prima guerra interimperialista (1914-1918). La seconda guerra interimperialista (1939-1945) portò alla creazione delle 8 democrazie popolari dell’Europa Orientale (Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Romania, Ungheria), della Repubblica Popolare della Mongolia (1924) e di quella della Corea del Nord. Nel 1949 venne costituita la Repubblica Popolare Cinese. Nei 25 anni successivi vennero costituiti paesi socialisti a Cuba, nel Vietnam, nel Laos e nella Cambogia. Nel massimo della loro estensione i primi paesi socialisti compresero un terzo dell’umanità. A metà degli anni ’50 nell’Unione Sovietica e nelle democrazie popolari dell’Europa Orientale incominciò la restaurazione graduale e pacifica del capitalismo che proseguì fino all’implosione e al crollo a cavallo del 1990.(2) La RPC con il colpo di Stato del 1976 contro la “banda dei quattro”, sanzionato dalla Risoluzione sulla storia del Partito comunista cinese (1949-1981) approvata il 27 giugno 1981, entrò a sua volta nella fase della restaurazione graduale e pacifica del capitalismo (che è in corso tuttora in forme per alcuni aspetti diverse da quelle seguite in URSS: si è già formato un settore dell’economia in cui vigono la proprietà privata dei mezzi di produzione e la compravendita della forza-lavoro). La svolta politica fatta alla fine degli anni ’70 ha comunque liquidato il ruolo della RPC e del PCC nel movimento comunista internazionale, ha già distrutto molte delle conquiste compiute dalle masse popolari e dagli operai cinesi, ha rafforzato fortemente la borghesia e ha fatto sorgere gravi contraddizioni nazionali che minano già oggi il regime politico della Repubblica Popolare Cinese. Per la sua vita economica la RPC oggi è legata in modo sostanziale agli investimenti diretti e finanziari dei gruppi imperialisti internazionali e alle esportazioni in particolare negli USA ([nell’anno 2002] la bilancia commerciale con gli USA ha raggiunto un avanzo a favore della RPC di circa 100 miliardi di dollari a fronte nello stesso anno di un Prodotto Interno Lordo della RPC di circa 2.000 miliardi di dollari). Quindi la RPC dipende dal sistema imperialista mondiale più di quanto ne dipendesse l’Unione Sovietica nell’epoca di Breznev (1964-1982).

 

2. L’esperienza storica dei paesi socialisti in Rapporti Sociali n. 11 (1991) e Che i comunisti dei paesi imperialisti uniscano le loro forze per la rinascita del movimento comunista, cap. 5 in La Voce n. 12 (2002) pag. 54. 

 

 

 Quanto agli altri paesi dell’ex campo socialista, i partiti comunisti che dirigono a Cuba, nella Corea del Nord, nel Vietnam e nel Laos proclamano tuttora di seguire una linea socialista. Le relazioni esistenti attualmente tra partiti e organizzazioni del movimento comunista internazionale sono poche e superficiali e le nostre forze attuali ancora deboli: noi non siamo quindi in grado di conoscere a sufficienza l’orientamento che essi effettivamente seguono. Di nessuno di questi paesi conosciamo qual è, secondo i rispettivi partiti comunisti, la composizione di classe e a che punto e in quale fase è, secondo essi, la lotta di classe. Certamente però l’influenza revisionista che hanno subito nel passato ha prodotto in essi confusione e disorientamento ideologici e non ci risulta che abbiano superato i limiti che hanno permesso ai revisionisti di prevalere in tutto il vecchio movimento comunista. Dopo il crollo del campo socialista nel 1989-91 essi hanno dovuto far fronte con forze estremamente ridotte non solo alla lotta di classe all’interno, ma anche a una situazione internazionale molto sfavorevole. Per far fronte alle difficoltà essi hanno fatto e fanno in molti campi concessioni alla borghesia interna e al capitale internazionale che possono essere arretramenti momentanei necessari per guadagnare tempo, ma che contemporaneamente hanno un’influenza disgregatrice su una parte dei membri del partito, soprattutto sui suoi elementi non operai, rafforzano i fautori della restaurazione del capitalismo e indeboliscono la resistenza del paese all’imperialismo. Tutto questo fa sì che essi attualmente non svolgono nella rinascita del movimento comunista in corso a livello mondiale un ruolo d’avanguardia tale che sia per noi indispensabile o urgente conoscere e comprendere il loro orientamento e la loro attività. Noi tuttavia salutiamo e nei limiti delle nostre forze appoggiamo la loro resistenza di fronte agli sforzi compiuti dai gruppi imperialisti, in particolare dai gruppi imperialisti USA, per promuovere in essi la controrivoluzione, eliminare le conquiste socialiste, sottometterli al loro dominio e distruggerli. Con la loro resistenza essi contribuiscono alla rinascita del movimento comunista.

Da questo breve schizzo risulta che il ruolo dei primi paesi socialisti come diretti protagonisti d’avanguardia del movimento comunista a livello mondiale si è sostanzialmente esaurito. Il crollo del campo socialista ha influito negativamente sulla lotta tra le due vie, le due classi e le due linee ovunque nel mondo. Esso ha riportato indietro l’orologio della storia e ci costringe a percorrere nuovamente una parte del cammino che già avevamo percorso. Lo ripercorreremo però in condizioni in parte diverse e ricchi dell’esperienza dei primi paesi socialisti. Per noi oggi si tratta principalmente di capire gli insegnamenti della grande e storica esperienza dei primi paesi socialisti per usarli nella rinascita del movimento comunista che è in corso e nella seconda ondata della rivoluzione proletaria che si avvicina man mano che progrediscono la seconda crisi generale del capitalismo e la connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo.

 

4.   Il ruolo storico dei primi paesi socialisti.

 

Quale fu il ruolo dei primi paesi socialisti nella storia? I primi paesi socialisti non crearono la società comunista né potevano farlo. Essi hanno percorso una parte del cammino che porta dalla società capitalista alla società comunista.

Per sua natura la società comunista sarà internazionale, estesa a tutto il mondo. I primi paesi socialisti invece arrivarono a coprire solo un terzo dell’umanità e non arrivarono neanche a fondersi tutti tra loro. Ma in molti campi hanno creato forme nuove di collaborazione internazionale.

Per sua natura nella società comunista gli uomini e le donne non saranno più divisi in classi. Nei primi paesi socialisti invece sopravvisse la divisione in classi né poteva essere diversamente. Il marxismo aveva già spiegato che la divisione in classi era stata una condizione necessaria allo sviluppo della civiltà umana e che è impossibile abolirla con un atto di forza: la si supera e si estingue man mano che i lavoratori si organizzano e, organizzati, si governano da soli. Nella fase socialista i comunisti conducono i lavoratori a imparare a farlo.

“La dittatura del proletariato è una lotta tenace, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica, pedagogica e amministrativa, contro forze e tradizioni della vecchia società. La forza dell’abitudine di milioni di uomini è la più terribile delle forze. Senza un partito di ferro, temprato nella lotta, senza un partito che goda la fiducia di tutto quanto vi è di onesto nella sua classe, senza un partito che sappia interpretare lo stato d’animo delle masse e influire su di esso, è impossibile condurre a fine una lotta simile”. (Lenin)

Per sua natura nella società comunista non esisterà più né Stato né politica, intesa questa come gestione degli affari pubblici riservata ad una minoranza di persone che si concretizza nello Stato, organo distinto dal resto della società che detiene il monopolio della violenza con cui impone quella gestione e mantiene un ordine pubblico adatto e conforme ad essa. Ognuno dei primi paesi socialisti invece fu ancora governato da uno Stato, sia pure, come vedremo, di tipo particolare.

La società comunista sorgerà solo come risultato e conclusione di un periodo storico di transizione nel corso del quale gradualmente e per salti la divisione della popolazione in classi, la politica e lo Stato saranno superati, le nazioni si fonderanno, scompariranno non solo la proprietà privata delle forze produttive, ma anche le molteplici divisioni di ruolo sociale tra lavoratori intellettuali e lavoratori manuali, tra dirigenti ed esecutori, tra i sessi, tra città e campagna, tra settori, zone e popoli avanzati e settori, zone e popoli arretrati e gli individui disporranno dei beni e dei servizi necessari alla loro vita secondo i loro bisogni. Ciò avverrà man mano che le  forze materiali e spirituali degli uomini e delle donne si svilupperanno fino a raggiungere una condizioni in cui ogni individuo contribuirà alla produzione e alle altre funzioni della vita sociale secondo le sue forze e capacità e riceverà dalla società quanto gli occorre, secondo i suoi bisogni. Una condizione dalla quale i primi paesi socialisti erano ancora lontani quando incominciò il loro viaggio a ritroso verso il capitalismo, la fase di indebolimento e corrosione: nel 1956 per quanto riguarda l’URSS e i paesi socialisti dell’Europa Orientale, nel 1976 per quanto riguarda la Repubblica Popolare Cinese.(2) I paesi socialisti riuscirono, nel periodo del loro sviluppo, ad accrescere enormemente le forze produttive materiali e intellettuali. Tuttavia essi rimasero lontano dal livello che è stato raggiunto solo ora all’inizio del secolo XXI, quando le forze produttive sono arrivate al punto che la quantità di beni e servizi prodotti è oramai limitata principalmente dai rapporti di produzione e non più dalla limitata potenza delle forze produttive di cui gli uomini dispongono e dalle limitate risorse naturali.

Tutti i primi paesi socialisti, nella fase del loro sviluppo, dovettero invece principalmente affrontare il compito di aumentare la produzione con le forze produttive già esistenti. Il cibo e gli altri beni di consumo erano ancora prodotti in misura insufficiente per soddisfare i bisogni di ogni persona. Nel contempo, essendosi il socialismo instaurato in paesi arretrati ed esposti al boicottaggio e all’aggressione dei paesi imperialisti, i primi paesi socialisti dovettero accumulare autonomamente nuove forze produttive: le strutture, i macchinari, le conoscenze e l’esperienza necessarie per incrementare la produzione. Quindi la gestione delle aziende produttive agricole, industriali e di servizi esistenti e la costruzione di nuove aziende produttive fu il principale compito sociale nei primi paesi socialisti, quando non furono costretti a distogliere forze e risorse per difendersi dalle aggressioni della borghesia imperialista. La lotta contro la natura per strappare di che vivere restò in tutti i primi paesi socialisti la principale attività umana. Le unità produttive dei beni essenziali e dei mezzi di produzione restarono le principali istituzioni pubbliche e fu attorno ad esse che vennero organizzate con una concezione unitaria tutte le altre attività e istituzioni: il consumo, le abitazioni, l’istruzione, l’educazione dei bambini, l’attività culturale, ecc. Essi vissero tutto il periodo del loro sviluppo (fino alla metà degli anni ’50 per l’URSS e i paesi dell’Europa Orientale e fino alla fine degli anni ’70 per la RPC) all’insegna della necessità dettata dall’arretratezza economica e culturale delle posizioni di partenza e dall’aggressione calda o fredda e dal boicottaggio della borghesia imperialista a cui dovettero costantemente far fronte. Da questo punto di vista l’esperienza dei primi paesi socialisti fu fortemente influenzata dal fatto che la classe operaia durante la prima ondata della rivoluzione proletaria (1910-1945) non arrivò a conquistare il potere nei più progrediti paesi imperialisti. I partiti comunisti dei paesi socialisti attuavano il più avanzato programma di trasformazione sociale prodotto dal movimento della classe operaia a livello mondiale, ma lo attuavano a partire dalle condizioni di paesi capitalisticamente ancora arretrati.

 Che la conquista del potere da parte degli operai diretti dal loro partito comunista non bastasse a instaurare una società comunista, non è una cosa che abbiamo visto dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Era una cosa indicata chiaramente da Marx almeno a partire dal 1875 (Critica al Programma di Gotha). I primi paesi socialisti hanno solo dimostrato per primi e su grande scala che è possibile andare dal capitalismo al comunismo in modo consapevole e mirato, in contrapposizione alla marcia disordinata, tormentosa e cosparsa di distruzioni che gran parte dell’umanità sta ancora compiendo. Essi hanno indicato e sperimentato una strada più avanzata di quella su cui procediamo ancora oggi. Il declino e il crollo dei primi paesi socialisti non tolgono nulla al valore della dimostrazione che essi hanno dato. Essi ci hanno indicato la strada su cui l’umanità dovrà mettersi nei prossimi anni per uscire dall’attuale crisi del capitalismo.

 

5.   I primi paesi socialisti hanno dimostrato che la borghesia non è in grado di vincere un paese socialista aggredendolo o assediandolo (cioè dall'esterno).

 

Di fronte al declino e al crollo 12 anni fa dell’URSS e delle democrazie popolari dell’Europa Orientale, avviene qualcosa di simile a quello che avvenne dopo la sconfitta del primo tentativo di instaurare un paese socialista, cioè dopo la sconfitta della Comune di Parigi del 1871, 130 anni fa. I reazionari e i conservatori, dalla borghesia al clero, si diedero a proclamare la morte definitiva del comunismo e, contraddittoriamente, a dare la caccia ai comunisti. I comunisti (citiamo in particolare Marx, Engels e Lenin) studiarono invece l’esperienza della Comune di Parigi per capire cosa aveva insegnato quel fenomeno nuovo della storia. Essi compresero come mai la borghesia era riuscita a soffocarla nel sangue di svariate decine di migliaia di operai e rivoluzionari di Parigi o accorsi a Parigi a sostenere la Comune. Il risultato di quello studio aiutò, nel giro di alcuni decenni, a instaurare i primi paesi socialisti che nessuno sforzo della borghesia riuscì più a soffocare.(3) E questo benché il socialismo fosse stato instaurato in paesi economicamente e culturalmente arretrati dove la società borghese e le sue forze produttive erano ancora poco sviluppate e benché i primi paesi socialisti abbiano dovuto fare i conti con la forte presenza di elementi di economia patriarcale e di piccola produzione mercantile e di rapporti di dipendenza personale di tipo ancora feudale;(4) benché la borghesia rimasta al potere nei paesi più progrediti e più ricchi del mondo mettesse in opera contro i primi paesi socialisti tutti i mezzi di cui disponeva e ne inventasse di nuovi: dall’aggressione militare, alla collaborazione con le forze reazionarie interne, al  blocco economico, alla messa a punto di nuove armi, tecniche e strategie di guerra, al sabotaggio e all’isolamento. “Soffocare il bambino ancora nella culla”: così W. Churchill (1874-1965) sintetizzò nel 1918 la politica che la borghesia imperialista di tutto il mondo avrebbe seguito contro i primi paesi socialisti.

 

3. Lenin, Stato e rivoluzione in Opere vol. 25.

4. Lenin, I compiti immediati del potere sovietico in Opere vol. 27 pag. 211; Lenin, Sull’infantilismo di sinistra in Opere vol. 27 pag. 292.

 

I primi paesi socialisti non sono stati vinti dall’aggressione della borghesia imperialista cui essi anzi resistettero vittoriosamente ogni volta che furono aggrediti. Essi sono crollati solo a seguito di un periodo relativamente lungo di decadenza dovuta a fattori interni. Quando caddero, allora sia gli imperialisti USA sia il Vaticano, che da sempre cospiravano e lottavano per abbatterli, rivendicarono ognuno per sé il merito di averli distrutti: gli uni con la loro “guerra contro l’impero del male”, l’altro grazie ai suoi rapporti con la Madonna di Fatima. Ma in realtà i primi paesi socialisti caddero solo a causa dell’inversione operata al loro interno della direzione di marcia seguita nella loro costruzione e nel loro sviluppo: un rovesciamento che ebbe cause precise (il prevalere della corrente dei revisionisti moderni nella direzione dei partiti comunisti) e ha date precise: nella seconda metà del secolo scorso a partire dal 1956 col 20° congresso del PCUS. Ma ci vollero decine di anni di logoramento e di corruzione del loro tessuto sociale, prima che i paesi socialisti crollassero, tanto essi erano intimamente forti. Ci sono voluti più di 30 anni di logorio interno prima che l’Unione Sovietica crollasse nel 1991. E benché i primi paesi socialisti siano crollati, è impossibile comprendere il mondo di oggi senza tener conto del ruolo svolto dai primi paesi socialisti. Essi hanno lasciato nel mondo attuale una traccia indelebile della loro esistenza. Essi hanno cambiato la “costituzione materiale” del mondo in modo irreversibile. La loro esistenza ha influito sui rapporti di forza tra le classi in ogni paese. In ogni angolo del mondo gli operai e il resto dei lavoratori hanno strappato alla borghesia e alle altre classi reazionarie conquiste che prima della nascita dei paesi socialisti non erano neppure sognate. Le classi oppresse e in particolare la classe operaia hanno raggiunto in ogni parte del mondo un superiore livello culturale e organizzativo. Quanto poi ai paesi dove venne per la prima volta instaurato il socialismo, essi sono ancora oggi lontano dall’aver raggiunto la condizione di normali paesi borghesi e molti elementi inducono a ritenere che difficilmente la raggiungeranno mai. Probabilmente non la raggiungeranno neanche le regioni della ex Repubblica Democratica Tedesca nonostante siano state semplicemente inglobate nella Repubblica Federale Tedesca, uno dei maggiori paesi imperialisti. Comunque gli ex paesi socialisti costituiscono tuttora, a più di 12 anni dal crollo e di 45 anni dalla inversione di rotta, una categoria di paesi a sé, con problemi, conflitti, relazioni interne e internazionali, forme di sviluppo e prospettive specifici. La restaurazione del capitalismo ha cancellato l’opera della prima ondata della rivoluzione proletaria grossomodo solo come la Restaurazione del 1815 aveva cancellato l’opera della Rivoluzione Francese.

 

6.   Ciò che rese impossibile alla borghesia di vincere un paese socialista fu l’unità tra la linea di trasformazione comunista della società e il sistema di direzione messo in vigore dai partiti comunisti.

Centralismo democratico

Il centralismo democratico è il principio direttivo della struttura organizzativa del partito comunista. Esso è caratterizzato da:

1. elettività di tutti gli organi dirigenti dal basso in alto;

2. obbligo di ogni organo di partito di rendere periodicamente conto della sua attività all’organizzazione che lo ha eletto e agli organi superiori;

3. severa disciplina di partito e subordinazione della minoranza alla maggioranza;

4. le decisioni degli organi superiori sono incondizionatamente obbligatorie per gli organi inferiori.

 

Cosa ha reso così forti i primi paesi socialisti? L’unità dialettica della linea di trasformazione della società promossa dai partiti comunisti (che abbiamo in sintesi indicato alla fine del punto 2) e del sistema di direzione che i partiti comunisti vi instaurarono per realizzarla. Vediamo ora in cosa consisteva quel sistema di direzione.

Il sistema di direzione di ognuno dei primi paesi socialisti ha avuto tratti specifici e particolari, legati alla storia, alla tradizione, alle caratteristiche, al grado di sviluppo del paese e al modo in cui si era svolta nel singolo paese la lotta per instaurare il socialismo. In ogni paese socialista il sistema di direzione ha subito molteplici trasformazioni nel corso degli anni. Vi sono stati tuttavia importanti tratti comuni a tutti i primi paesi socialisti, tratti che sono rimasti immutati lungo tutta la loro vita e che sono specifici della formazione economico-politica. Pur nella loro grande varietà, in tutti i primi paesi socialisti il sistema di direzione fu imperniato sul partito comunista e sulle organizzazioni di massa promosse dal partito, sul principio organizzativo del centralismo democratico e sulla linea di massa come principale metodo di direzione (anche se questa denominazione entrò nell’uso solo tardi, quando la sua teoria fu elaborata da Mao Tse-tung). La struttura di potere formata dal partito e dalle organizzazioni di massa era poi in ogni paese combinata in modo originale e mutevole con uno Stato inteso nel senso tradizionale del termine: organismo staccato dal resto della società e, almeno in ultima istanza, ancora depositario del monopolio della violenza.(3) Solo per semplicità e per maggiore concretezza di esposizione, nel seguito ci riferiremo principalmente all’Unione Sovietica che fu il primo paese socialista e anche quello dove la transizione è proceduta più profondamente e più a lungo (dal 1917 al 1956).

3. Lenin, Stato e rivoluzione in Opere vol. 25.

 

Il rifiuto di prendere atto di questo particolare sistema di direzione e di studiarlo come una nuova e specifica forma storica di società politica è alla base delle incomprensioni che spesso si verificano anche nelle discussioni in buona fede sul carattere “democratico” dei primi paesi socialisti. I protagonisti di molte di queste discussioni in realtà conducono una discussione accademica sul tema se sono più “democratici” (e proprio l’indeterminatezza di questo termine rende la discussione accademica) i paesi borghesi o i primi paesi socialisti: in sostanza discutono se i primi paesi socialisti furono o no più democratici nel senso della democrazia borghese, ossia più vicini al modello ideale della democrazia borghese di quanto lo sono i paesi borghesi. Il libero sviluppo personale e la partecipazione della massa della popolazione, e in particolare degli operai, alla gestione degli affari pubblici in un paese socialista non si manifestano e non possono manifestarsi nelle forme in cui nella società borghese si attuano lo sviluppo personale e la partecipazione dei membri delle classi sfruttatrici alla politica. La democrazia proletaria o dittatura del proletariato non è l’estensione agli operai, l’apertura anche agli operai degli istituti e delle istituzioni politiche della società borghese. Questa apertura è un sogno dei gruppi riformisti. Gli istituti e le istituzioni della democrazia borghese rispecchiano le relazioni tra i membri della borghesia e sono adatti alle condizioni pratiche di vita della borghesia, sono la trasposizione nel campo politico delle forme e dei metodi delle relazioni d’affari che i borghesi hanno tra loro: non possono quindi essere estese ai proletari. Non a caso gran parte dei promotori dei primi movimenti politici dei proletari, all’inizio del secolo XIX, erano anche loro borghesi, piccolo-borghesi o professionisti (insegnanti, avvocati, ecc.). Solo quando il movimento politico dei proletari raggiunse un livello tale da mantenere, formare e selezionare propri funzionari incominciarono i partiti comunisti nel senso attuale dell’espressione. L’esclusione dei proletari dalle istituzioni e dagli istituti della democrazia borghese non è opera forzosa, volontaria, imposta artificiosamente. Al contrario essa è connaturata con i diversi ruoli delle classi nella “società civile”, nell’insieme di relazioni che si formano prima e indipendentemente dall’attività politica nei traffici della vita economica e culturale di ogni giorno ed è inseparabile dalla struttura di classe della società borghese. In essa i proletari, e con loro la massa della popolazione, non possono partecipare alla gestione degli affari pubblici e tantomeno avere un libero sviluppo personale al modo dei borghesi. Non sono gli scostamenti accidentali dalla democrazia borghese che si riscontrano nella pratica di ogni paese, non è la limitata attuazione nella pratica dei suoi principi e istituti che escludono da essa i proletari, ma proprio la sua natura, considerata a prescindere dalle particolarità e accidentalità che accompagnano ogni sua concreta manifestazione. La partecipazione dei proletari agli istituti e alle istituzioni della società borghese è incompatibile con la posizione che essi come classe occupano nella società. Quando attorno all’inizio del secolo XX la loro partecipazione alla vita politica della società borghese venne imposta per legge (con la formazione dei partiti socialisti accanto agli altri partiti con cui i vari gruppi della società borghese cercano di far preva lere i loro interessi e con l’estensione del diritto di voto a tutta o a gran parte della popolazione maschile), i borghesi parlarono della nascita con i “partiti di massa” della “società di massa” e gridarono: “Questa legalità ci uccide”. In effetti segnò la fine della democrazia borghese.

“Lo Stato socialista può sorgere soltanto come una rete di comuni di produzione e di consumo, che calcolino coscienziosamente la loro produzione e i loro consumi, economizzino il lavoro, ne elevino costantemente la produttività, riuscendo così a ridurre la giornata lavorativa a sette, sei ore e anche meno”. (Lenin, I compiti immediati del potere sovietico, marzo-aprile 1918, Opere vol. 27 pag. 227)

L’imposizione della partecipazione dei proletari alla politica ha sovvertito le istituzioni e gli istituti della vecchia democrazia borghese che si era affermata nella lotta contro la nobiltà, il clero, la monarchia assoluta e il loro monopolio dell’attività politica. Essa ha dato luogo o alla loro soppressione o alla loro trasformazione in “teatrino della politica” (per dirla con Berlusconi): alla compravendita di voti, alla trasformazione del dibattito politico pubblico in schermaglie teatrali, campagne pubblicitarie e truffe promosse dai maggiori centri finanziari, alla manipolazione sistematica e programmatica delle informazioni e della opinione pubblica con lo sviluppo di specifici strumenti, procedimenti, tecniche e scienze. I proletari avevano imposto la loro presenza nella politica come elettori: allora i capitalisti hanno riversato la loro forza sociale, misurata per ogni borghese dal capitale di cui dispone, nella conquista del consenso e dei voti delle masse popolari al suo indirizzo politico. Già prima il capitalista mobilitava per arricchirsi un numero di proletari proporzionato al capitale di cui disponeva: ora con lo stesso capitale mobilitò le masse popolari a favore degli indirizzi politici favorevoli ai suoi interessi e contro i suoi avversari. Più lo Stato era democratico nel senso borghese, cioè determinato dal voto degli elettori e libero da monopoli ereditari e di casta, maggiore era la libertà di disporne per il capitalista mobilitando con il suo capitale il consenso popolare a suo favore. Il massimo di venalità dello Stato e della politica venne infatti raggiunto nel paese più democratico nel senso borghese del termine: gli USA. Il voto e il consenso popolari divennero merci accaparrate da chi ha più soldi da gettare nel mercato elettorale, per assoldare demagoghi e per condizionare e manipolare l’opinione pubblica secondo i suoi particolari interessi e intendimenti. La borghesia dovette sviluppare e sviluppò su grande scala mezzi e manovre atti a portare “le masse ignoranti e istintive”, intese solo a “soddisfare appetiti e passioni bestiali”, “a una reale collaborazione con l’onore e con gli interessi dello Stato” (per dirla con W. Churchill). E di fronte alla forza politica che il numero organizzato conferiva ai partiti proletari, in un modo o nell’altro la “sicurezza nazionale” dovette diventare e divenne in tutti i paesi imperialisti il principale criterio di governo e ha sostituito l’intangibilità dei diritti politici e civili di ogni indivi duo che era stata la bandiera con cui la borghesia aveva combattuto contro i regimi feudali, contro la nobiltà e contro il clero. Lo stato borghese si assunse il compito di prevenire i reati politici anziché semplicemente punire chi se ne rendeva responsabile. La prevenzione dei reati e quindi il controllo degli individui e delle loro associazioni sono diventate le principali forme di politica interna e internazionale: nella politica interna la controrivoluzione preventiva e nella politica internazionale la guerra preventiva sono diventate le linee politiche della borghesia che fino allora era stata democratica e pacifista.

 

I primi paesi socialisti dunque non adottarono e non potevano adottare lo stesso sistema di direzione dei paesi borghesi. Il sistema di direzione dei primi paesi socialisti si basò su proprie forme originali, adatte alla natura della nuova classe dominante (la classe operaia) e al suo compito storico: sulla premessa della proprietà pubblica almeno delle principali forze produttive, realizzare la massima e crescente partecipazione alla politica degli operai, degli altri semplici lavoratori, delle donne, dei giovani e in generale delle categorie che nella società borghese sono oppresse, sfruttate, discriminate, emarginate ed escluse e fare della loro crescente partecipazione il mezzo principale della trasformazione delle condizioni materiali e intellettuali della loro vita che le masse stesse operavano. Non si trattava di ottenere in un modo o nell’altro che una classe dominante concedesse questo o quello alle masse, che eliminasse le punte più estreme della loro miseria o desse loro almeno da mangiare (come predicavano i programmi utopistici dei riformisti). Si trattava di creare le condizioni per cui le masse stesse risolvessero a loro modo i loro problemi. La loro crescente partecipazione alla politica, comprensiva anzitutto della direzione e amministrazione della produzione e della distribuzione di quanto serviva a loro per vivere, arrivata ad un certo livello, avrebbe fatto scomparire la politica e lo Stato. La quantità si sarebbe tramutata in qualità.

Il tratto originale e innovativo del sistema di direzione dei primi paesi socialisti fu perciò una struttura di potere composta dal partito comunista, dalle sue organizzazioni di massa (sindacati, organizzazione dei giovani, delle donne, di categorie e ceti), dai collettivi di lavoro con le loro assemblee e i loro organi esecutivi, dalle assemblee di caseggiato, villaggio, quartiere, città, ecc. con i loro consigli di delegati revocabili (soviet) e i rispettivi organi esecutivi. In ogni paese socialista e fin dalla sua instaurazione questo sistema aveva un netto e dichiarato carattere di classe (alla testa vi era la classe operaia alleata e dirigente delle altre classi di lavoratori, mentre erano escluse le classi antisocialiste), si esercitava in tutti i campi (prendeva decisioni, le eseguiva ed esercitava compiti giudiziari, di polizia e militari), poneva il perseguimento della trasformazione socialista al di sopra di ogni norma giuridica, funzionava secondo il principio organizzativo del centralismo democratico e usava come principale metodo di direzione la linea di massa.

 

 Sul partito comunista

L’esperienza della costituzione dei primi paesi socialisti e della loro seppur breve esistenza ha gettato nuova luce sulla natura e sul ruolo del partito comunista. Anche se si costituisce nella società borghese accanto agli altri partiti e, in determinate circostanze e per una certa fase, svolge per alcuni aspetti compiti analoghi a quelli degli altri partiti e partecipa alla lotta politica tipica della società borghese, il partito comunista non è un partito come gli altri partiti che nella società borghese lottano per accaparrarsi il potere. Il partito comunista è l’avanguardia organizzata della classe operaia. È l’organizzazione degli operai più avanzati, più autorevoli, più generosi, più energici, più capaci di assimilare la concezione materialista dialettica del mondo e di usarla come strumento per dirigere la propria classe affinché a sua volta trascini tutte le masse popolari sia a togliere il potere alla borghesia imperialista sia a prendere esse stesse in mano la gestione di tutti gli aspetti della loro vita. A differenza degli altri partiti, esso non cerca il potere per sé, non chiede una delega a governare. Esso mobilita, organizza ed educa la classe operaia perché essa governi e la guida a mobilitare il resto delle masse popolari perché esse si liberino da ogni tutela e dalle vecchie inibizioni e concezioni. Che il partito comunista dovesse avere questa particolare natura era risultato evidente già nel periodo della lotta per la conquista del potere. L’esperienza dei primi paesi socialisti ha non solo confermato che questa deve essere la natura del partito comunista, ma ha portato a una maggiore comprensione della sua natura e del suo ruolo.

A quanto detto alcuni obietteranno che non ogni partito che si è dichiarato comunista ha avuto le caratteristiche che abbiamo indicato. Ciò è del tutto vero. Per avere quelle caratteristiche, non basta neanche che un partito sia composto da individui che vogliono sinceramente essere comunisti e credono onestamente nel comunismo. Ma è altrettanto vero che i primi paesi socialisti furono instaurati grazie a partiti comunisti del genere indicato e che durante il loro periodo di sviluppo essi furono diretti proprio da partiti di quel genere. I partiti che nel corso nella prima ondata della rivoluzione proletaria non raggiunsero quelle caratteristiche, non riuscirono a dirigere vittoriosamente l’attività rivoluzionaria delle masse popolari e quindi non arrivarono a instaurare il socialismo e a dirigere alcun paese socialista. Vi è di più: quando i partiti che dirigevano i primi paesi socialisti cessarono, per i motivi che vedremo, di avere le caratteristiche che abbiamo indicato, nel giro di un po’ di tempo portarono i paesi socialisti alla rovina. È quello che è successo nei primi paesi socialisti, dopo che i revisionisti moderni presero la direzione dei rispettivi partiti comunisti.

Ognuno dei partiti che costruirono e diressero i primi paesi socialisti incarnava e realizzava la volontà e l’aspirazione diffuse della classe operaia di passare dal capitalismo al comunismo, di emanciparsi dalla dipendenza dai capitalisti, di trasformare i rapporti sociali capitalisti in rapporti comunisti. Le incarnava in un organismo capace (con la sua struttura, con le sue organizzazioni di base, con i suoi orga ni dirigenti, con le sue riunioni, con i suoi dibattiti, con i suoi congressi, con la sua vita interna, con la sua disciplina) di elaborazione, di decisione e di azione. Esso riuniva una percentuale ancora piccola di operai: gli operai comunisti che associati nel partito imparavano ad essere classe dirigente, che tramite la partecipazione alla vita del partito seguivano un processo continuo di formazione intellettuale, morale e politica che li rendeva capaci di guidare tutta la massa dei lavoratori a uscire dalle condizioni di miseria e di dipendenza morale e intellettuale dalle classi dominanti in cui vivono da millenni. Il partito dava ad ogni suo membro gli strumenti (in termini di concezione del mondo, di linea politica, di parole d’ordine, di metodo di lavoro, di relazioni sociali e di prestigio) necessari per essere il lievito della massa dei suoi compagni di lavoro e l’animatore della loro attività sociale, capace di orientarli e mobilitarli per realizzare gli obiettivi proposti e nello stesso tempo capace di comprendere il loro stato d’animo e le loro aspirazioni ed esperienze e portarle nelle istanze di partito in modo che diventassero materiale e componente dell’elaborazione del partito e ritornassero alle masse come obiettivi da realizzare. Il partito era composto da quella piccola parte di operai che non solo non erano abbrutiti e rassegnati alla condizione servile della loro classe, ma già non concepivano per sé altra forma di emancipazione dalla miseria e dall’abbrutimento culturale propri della loro classe che non fosse l’emancipazione di tutta la classe. Essi tramite un particolare sforzo e impegno individuali, associandosi nel partito conquistavano autonomia soggettiva rispetto alla propria specifica individuale condizione e diventavano dirigenti dei loro compagni di lavoro, parte ancora della loro classe ma già dotati, grazie al partito, di una comprensione generale delle condizioni nazionali e internazionali della lotta di classe e capaci di usare i metodi necessari per organizzare e mobilitare i loro compagni di lavoro. La forza di questi partiti non stava principalmente nella genialità dei loro capi, ma nella loro “struttura di base” costituita da operai che, coesi e coerenti con i loro interessi di classe, continuavano a lavorare a fianco degli altri operai e riuniti in cellule di reparto conoscevano uno a uno nella pratica quotidiana gli operai che dovevano dirigere. Essi li collegavano con la loro opera al resto del partito prevalentemente fatto di rivoluzionari di professione (funzionari) che a sua volta li collegava con il resto della classe operaia a livello nazionale e internazionale. La combinazione di questa struttura di base con la sovrastruttura dei rivoluzionari di professione nell’organizzazione di partito, la linea politica di trasformazione della società verso il comunismo e la concezione comunista del mondo rendevano il partito comunista una invincibile macchina di guerra. I legami esistenti tra la classe operaia e il resto delle masse popolari (le classi che partecipavano alla rivoluzione, che facevano parte del campo della rivoluzione) provvedevano ad aggregare e mobilitare tutta la massa della popolazione lavoratrice. I membri di questi partiti comunisti non furono mai molto numerosi, neanche dopo la conquista del potere. In Unione Sovietica il partito comunista nel marzo del 1917 (al momento della caduta dello zar) contava 24.000 membri e candidati su circa 3 milioni di operai di fabbrica e una popolazione di oltre 100 milio ni, 472.000 nel 1924, 3.555.000 nel 1933, 1.920.000 nel 1938, 6.390.000 nel 1948 e 6.897.000 nel 1953. I membri e candidati divennero poi 11.758.000 nel 1965 e circa 16 milioni nel 1976 su una popolazione complessiva di 260 milioni. Se si tiene conto della particolare composizione di classe dell’URSS fino al lancio dei piani quinquennali (il primo piano comprende gli anni 1928-1932) che presentava una bassa percentuale di operai e un’alta percentuale di contadini, si vede che il numero degli operai comunisti oscillava tra 1 al 6 ogni 100 operai. Alla fine degli anni ’20 i salariati recensiti in URSS erano 11 milioni su una popolazione complessiva di 150 milioni e 32 milioni alla fine degli anni ’30. Si ricordi poi che i funzionari (rivoluzionari di professione) variavano a secondo dei periodi dal 2 al 3 % dei membri del partito.(5) Ovviamente il numero (limitato) di comunisti rispetto al totale dei lavoratori può essere assunto come un indice di quanto era ancora limitato il cammino compiuto verso la società comunista: la quantità era ancora lontana dal potersi trasformare in qualità. Dai numeri che abbiamo dato si potrebbe concludere che i primi paesi socialisti nella migliore delle ipotesi (6 operai comunisti su 100) hanno percorso circa il 10% della strada da percorrere per arrivare alla società comunista (assumendo che la quantità si trasformi in qualità quando almeno il 60% degli operai sono membri del partito comunista). Ovviamente si tratta di un ragionamento che serve solo a dare un’idea del fenomeno di cui stiamo trattando.

 

5. La Costituzione sovietica del 1977 di P. Biscaretti di Ruffià e G. Crespi Reghizzi (ed. A. Giuffré, 1979).

 

Il rapporto particolare tra il partito comunista e la classe operaia si traduceva anche in istituti particolari specifici del partito comunista.

Anzitutto la costruzione delle organizzazioni di base del partito secondo i collettivi di lavoro (le cellule di fabbrica o di reparto). In ogni luogo di lavoro vi era una cellula di comunisti (minimo tre), essi stessi lavoratori, a contatto diretto e quotidiano con gli altri lavoratori. Questi lavoratori comunisti, che già spontaneamente avevano nel collettivo un ruolo d’avanguardia, erano resi ancora più capaci e autorevoli dal legame col resto del partito e orientavano, educavano e mobilitavano l’intero collettivo.

Poi per quanto riguarda la vita interna del partito, l’appartenenza al partito comportava l’assimilazione da parte di ogni membro della concezione materialista dialettica del mondo e del metodo materialista dialettico di pensiero e di azione, l’uso sistematico della critica e dell’autocritica in ogni istanza del partito, rapporti interni tra individui e istanza di partito e tra le istanze di partito conformi al centralismo democratico come principio per elaborare le decisioni e applicarle. Si trattava di lavoratori che per loro libera scelta seguivano con slancio e passione il processo di “formazione continua” del partito: riunioni, circolari, corsi, convegni. Con esso il partito li portava ad assimilare una concezione del mondo facile da assimilare per gli operai perché è la spiegazione razionale della loro natura e della loro esperienza, un’analisi della situazione internazionale e nazionale in ogni campo di qualche interesse, una linea, metodi di propaganda, di organizzazione e di mobilitazione.  D’altra parte essi imparavano a raccogliere e formulare in termini di obiettivi e di linea le aspirazioni e i compiti del loro collettivo perché fossero assunti dall’intero partito, diventassero suoi compiti ed esso li ponesse come compiti dell’intera società. Essi erano quello che i loro compagni di lavoro non potevano ancora essere ma che sarebbero prima o poi diventati anche grazie alla loro attività.

In terzo luogo, per quanto riguarda i rapporti tra il partito e il resto degli operai, le nuove candidature al partito erano vagliate anche da parte delle assemblee del collettivo di lavoratori di cui il candidato faceva parte, le assemblee dei collettivi di lavoro partecipavano col loro parere alle epurazioni periodiche delle fila del partito, vi erano un contatto quotidiano dei membri e degli organismi del partito con i rispettivi collettivi di lavoro e l’applicazione sistematica della linea di massa.

In quarto luogo l’ammissione al partito era regolata da precise discriminazioni di classe. Andrei Zdanov (1896-1948), il futuro dirigente della resistenza di Leningrado all’assedio nazista, al 18° congresso del PCUS (nel 1939) ricorda che l’11° congresso (nel 1922) aveva fissato quattro categorie di candidati (operai semplici, operai con funzioni da capi, contadini, intellettuali e dirigenti) cui corrispondevano periodi di candidatura crescenti, la richiesta di un maggior numero di garanti e con maggiore anzianità di partito e una selezione più severa. Zdanov propone di abolire le quattro categorie, in conformità con l’indirizzo prevalente in quegli anni secondo cui i contrasti tra le tre classi che si consideravano (operai, contadini e intellettuali) andavano attenuandosi. Le categorie infatti nel ’39 scomparvero dallo Statuto del partito, ma grazie alla discrezionalità lasciata alle organizzazioni di partito non scomparvero nella pratica.(6)

 

6. Modifiche allo Statuto del PC(b) dell’URSS, rapporto presentato da A. Zdanov al 18° congresso, 18 marzo 1939.

 

Quindi da una parte il partito non era un’associazione privata che risolveva unicamente tra l’organizzazione e ognuno dei suoi membri i problemi della sua vita interna (reclutamento, formazione, promozione, rimozione, critica, valutazione, espulsione, ecc.) e a cui ognuno poteva aderire alla sola condizione di condividerne il programma politico. Dall’altra, in ogni contingenza e in ogni ambito e luogo, il partito agiva come una istituzione pubblica, si assumeva il compito di fare inchiesta, definire una linea, mobilitare la popolazione per risolvere ogni problema usando essa stessa i mezzi e le risorse di cui la società disponeva. Il partito comunista era animato e trasfondeva nella società una indomabile volontà di trasformare il mondo e di creare una nuova società conforme agli interessi e all’esperienza dei lavoratori coinvolgendoli tutti in ruoli attivi nella produzione e nella gestione degli altri affari sociali: dagli affari più diretti e immediati a quelli più universali, comuni a tutta la società. Questi non potevano essere spontaneamente e istintivamente percepiti come propri e indispensabili da ogni collettivo di base. Era solo grazie all’opera dei comunisti che ogni collettivo li trattava consapevolmente come propri e dava consapevolmente il suo contributo alla loro soluzione secondo la divisione sociale del lavoro. In ogni collettivo di lavoro o locale, chi si urtava con un problema (dalla donna picchiata dal marito a una innovazione da introdurre nel lavoro) sapeva che rivolgendosi al partito metteva in moto un meccanismo che avrebbe con  tenacia fatto diventare il suo problema un problema del collettivo. E in questa attività di ogni collettivo avveniva la trasformazione delle condizioni materiali, del carattere e delle concezioni di ogni individuo: la formazione dell’uomo nuovo.

 

Le organizzazioni di massa

Le organizzazioni di massa collegavano tra loro e con il partito tutti gli elementi anche solo minimamente attivi (o che si riusciva a rendere almeno in qualche misura e anche solo temporaneamente attivi) di ogni settore di lavoratori (con i sindacati di categoria, con le assemblee dei collettivi di lavoro e i loro organi), gli elementi dei settori che più avevano ereditato dalla vecchia società una condizione e una mentalità da oppressi ed emarginati (donne, giovani, nazionalità e categorie oppresse) e gli elementi che gli affari della vita corrente legavano tra loro (abitanti di caseggiato, di quartiere, di villaggio, di città, di zona). Queste strutture univano su ogni problema i più diretti interessati in modo che assieme trovassero il modo di risolverlo e lo mettessero in opera con l’assistenza che il resto della società forniva nella misura loro necessaria sulla base delle disponibilità esistenti. Attraverso le organizzazioni di massa il partito promuoveva le autonomie locali e di ogni aggregato sociale alle quali era demandato di risolvere, con ampia discrezionalità ma nella fedeltà alla causa socialista, i problemi di esclusivo interesse locale, sviluppava la capacità delle masse di analizzare da se stesse i loro problemi, trovare delle soluzioni appropriate e metterle in opera, senza bisogno dell’intervento di funzionari inviati dall’alto. Dove occorreva l’intervento di elementi o di corpi con una preparazione professionale superiore a quella disponibile sul posto, erano le stesse masse associate che li chiamavano e li dirigevano.

Anche le organizzazioni di massa non erano associazioni private, ma istituzioni pubbliche. Oltre alla vita associativa dei propri membri (reclutamento, formazione, divisione del lavoro, costituzione di organismi, promozione, retrocessione, espulsione, ecc.), ognuna di esse gestiva anche aspetti della vita sociale rilevanti e crescenti per numero e qualità, svolgeva funzioni amministrative (relative ad esempio ad abitazioni, luoghi per vacanze e riposo, istituzioni di istruzione e sanitarie, aziende locali, distribuzione di beni, erogazione di servizi) e di governo (polizia, amministrazione della giustizia, ordine pubblico, milizia, addestramento militare, vigilanza, ecc.) a cui tramite l’insieme delle organizzazioni di massa veniva a vari livelli associata una parte larghissima dell’intera popolazione. In un paese socialista restavano estranei all’attività amministrativa e di governo solo gli individui che gli organismi locali del partito, delle organizzazioni di massa o dello Stato avevano pubblicamente privato dei diritti politici e civili e sottoposto a controllo: soprattutto membri delle vecchie classi sfruttatrici (borghesia, nobiltà, clero) e nemici dichia rati dell’ordinamento socialista (delinquenti abituali giudicati irrecuperabili e altri elementi asociali). La prima costituzione sovietica russa (del 1918) ne dava questo elenco: le persone che ricorrono al lavoro salariato per ricavarne profitto; le persone che vivono di redditi non lavorativi (interessi di capitale, redditi di impresa, entrate patrimoniali, ecc.); i commercianti privati, i mediatori e gli intermediari commerciali; i monaci, il clero e tutti coloro che sono al servizio della chiesa e dei culti religiosi; gli impiegati e agenti della vecchia polizia, del corpo speciale della gendarmeria e dei servizi di sicurezza, nonché i membri della casa regnante di Russia; le persone riconosciute, con le modalità stabilite, minorate o inferme di mente, come pure le persone sotto tutela; le persone che sono state condannate per reati motivati da profitto personale e per reati infamanti, durante il periodo fissato dalla legge o dalla sentenza penale. Queste persone erano anche escluse dal servizio militare vero e proprio e nella difesa del paese svolgevano solo compiti ausiliari e sotto controllo. Insomma erano trattate in ogni campo come persone infide, nemici di classe. Queste discriminazioni ufficialmente scomparvero nella Costituzione del 1936 che dichiarava che i contrasti tra le tre classi considerate (operai, contadini, intellettuali) erano attenuati e in via di sparizione, ma esse sebbene non più obbligatorie continuarono a essere praticate in larga misura. In Unione Sovietica negli anni ’30 i “discriminati” come nemici di classe costituivano una massa compresa tra 5 e 10 milioni di adulti su una popolazione complessiva di 150 ÷ 200 [milioni, quindi una percentuale inferiore a quella dei poveri e degli emarginati nei più ricchi paesi imperialisti]. Per ogni individuo era chiaramente indicata la classe sociale di cui faceva parte e in base ad essa erano indicati i suoi diritti politici (ad esempio, la lunghezza del periodo di candidatura al partito e le modalità della sua ammissione). Nello stesso tempo, fin dal 1917 erano riconosciuti pieni diritti politici a ogni lavoratore straniero abitante in Russia, alle donne (nel 1917 le donne nei paesi borghesi non avevano ancora neanche il diritto di voto) e ai giovani a partire dai 18 anni o anche meno se così decidevano le assemblee locali (allora anche nei più avanzati paesi borghesi i giovani anche maschi sotto i 25 o i 21 anni non avevano neanche il diritto di voto passivo).

Fu questa struttura costituita dal partito comunista e dalle organizzazioni di massa che nei primi paesi socialisti animò e diresse l’intera società e spronò ogni individuo a dare il meglio di sé approfittando delle condizioni che la società offriva. L’idea che nelle società socialiste l’iniziativa individuale e il ruolo degli individui fossero soffocati è una favola che travisa completamente la realtà e rende inspiegabili i successi dei paesi socialisti. Al contrario, milioni di individui trovarono finalmente lo stimolo, le condizioni e il supporto sociale per esprimere il massimo delle loro potenzialità. L’iniziativa individuale non si esplicava nell’arricchirsi e soggiogare altri individui e sfruttarli. Era cioè repressa e punita l’unica iniziativa individuale che il borghese prende in considerazione e che egli e i suoi preti reputano motrice di ogni progresso e tratto costitutivo di una “natura” umana creata dal loro Dio. Nei primi paesi socialisti l’iniziativa individuale si esplicava nel dare un con tributo eccellente per qualità o quantità a risolvere i problemi sociali e individuali della vita corrente. Lo spirito d’iniziativa, la volontà di affermazione, l’energia degli individui erano incanalate nella realizzazione dei compiti che la società si proponeva: lo sviluppo della produzione, il miglioramento delle condizioni di vita, l’emancipazione delle donne, l’alfabetizzazione, l’elevamento culturale, ecc. Questa iniziativa non era una novità: già la società borghese stessa non starebbe in piedi senza il concorso del lavoro zelante e creativo di milioni di uomini e di donne che si dedicano alla loro attività con passione e in molti casi solo per passione e in mezzo a ristrettezze di ogni genere e contro le autorità borghesi che soffocano la loro iniziativa e negano o lesinano i mezzi necessari per svilupparla. La credenza che la ricerca di ricchezza personale sia l’unico o il principale stimolo dell’attività umana è solo la proiezione su tutta la società della natura particolare dei capitalisti ognuno dei quali effettivamente è mosso solo o principalmente dall’avidità di moltiplicare illimitatamente il suo denaro. Ma sono proprio queste sordide persone, gli ultimi eredi della mentalità da trogloditi che non riuscivano ancora a sfamarsi a sufficienza, che impersonano l’ordinamento sociale dei paesi capitalisti, comandano e infettano l’intera società con le loro concezioni residuate da un’epoca ancora barbarica della storia umana. A differenza di quello che avviene nella società borghese, nei paesi socialisti le forze e le risorse della società supportavano nel misura del possibile gli sforzi e le aspirazioni dei milioni di uomini e di donne che svolgevano con passione i loro compiti e cercavano di migliorare le condizioni proprie e degli altri: alle madri erano riconosciuti i mezzi per essere delle buone madri, ai ricercatori i mezzi per svolgere nelle condizioni migliori le ricerche, nessun operaio era sbattuto sulla strada come “esubero” dopo aver dato per anni con passione il suo contributo in una azienda, nessun anziano lavoratore era trattato come una ciabatta oramai inutile e un peso per la società, ogni adolescente era messo davanti a compiti che attendevano la sua opera, ogni donna era aiutata da tutti gli organi della società a emanciparsi dalla tutela maschile, ecc. Agli uomini e alle donne che volevano imparare, la società socialista offriva scuole e istruttori, mentre anche la più ricca società borghese ancora oggi chiede di pagare rette e tasse scolastiche. Il progresso della società socialista si misurava dal miglioramento delle condizioni materiali e spirituali della vita del complesso della società e di ogni suo membro. Questo miglioramento, da ognuno direttamente percepibile, era pubblicamente posto come scopo dell’attività sociale e individuale e come metro con cui misurare i risultati raggiunti: esso svolgeva il ruolo che da noi hanno l’aumento del PIL calcolato dall’ISTAT, l’andamento dell’indice della Borsa valori e l’utile aziendale. Il ruolo e il prestigio sociale di ogni persona dipendeva dall’apporto che aveva dato e dava al miglioramento del benessere comune. La società esprimeva con premi materiali e con riconoscimenti morali l’apprezzamento comune per i contributi individuali e di gruppo alla vita sociale. L’emulazione socialista era diffusa in ogni campo. Chi era più avanti era stimolato a insegnare a chi era più indietro e questi a imparare da chi era più avanti. Quando veniva meno il bisogno dei prodotti di  un’azienda, i lavoratori venivano investiti del problema e attuavano la conversione dell’azienda ad un’altra produzione utile. Ogni azienda che metteva a punto una tecnica, un procedimento o un accorgimento che aumentava la produttività del lavoro, risparmiava materie prime, diminuiva la fatica o riduceva l’inquinamento, lo diffondeva tra le altre aziende del settore. Non esisteva la proprietà privata delle scoperte, delle invenzioni né in genere la proprietà intellettuale, anche se i singoli individui o collettivi inventori erano premiati materialmente e moralmente. Tantomeno esistevano il segreto bancario, il segreto commerciale, la brevettazione delle scoperte, i diritti di sfruttamento delle idee e le royalties con cui i popoli e i settori più arretrati vengono ancora oggi schiacciati e su cui prosperano la malavita organizzata e la speculazione. Ciò in Unione Sovietica consentì di ridurre alla fine degli anni ’20 la giornata lavorativa come norma a 7 ore (ma per alcuni lavori particolarmente disagiati anche fino a sole 4 ore), di ripristinare alla fine degli anni ’40 questa riduzione abolita durante la seconda guerra mondiale e di sviluppare in misura altrove inesistente l’istruzione, la sanità, le arti, lo sport e la partecipazione dei lavoratori e in particolare delle donne alla vita sociale e alla gestione statale.

È soprattutto grazie a questa nuova e originale struttura di potere che in ognuno dei paesi socialisti vennero create le condizioni intellettuali, morali e psicologiche perché un sistema produttivo basato principalmente sulla partecipazione, sulla passione e sull’intelligenza della massa dei lavoratori funzionasse in maniera efficace e con ottimi risultati. Le unità produttive (e i collettivi di lavoro) che lo componevano non operavano scambiando (vendendo e comperando) con altre unità. La norma generale era che ogni unità riceveva dalle autorità preposte all’elaborazione del piano nazionale di produzione l’incarico di produrre in un determinato periodo una determinata quantità di beni o servizi, assieme alle materie prime, ai semilavorati e ai macchinari eventualmente necessari e a sua volta faceva a quelle autorità le sue proposte di produzione e di forniture per i periodi successivi. Questo sistema era basato sulla premessa che in ogni unità i lavoratori adempissero l’incarico ricevuto con senso di responsabilità e creatività, cercando di fare il miglior uso delle risorse di cui disponevano e di lavorare nelle condizioni migliori. È evidente che una simile organizzazione della produzione dava buoni risultati (e li diede) nella misura in cui i lavoratori erano motivati e partecipavano ognuno con passione e intelligenza alla realizzazione degli obiettivi del proprio collettivo di lavoro, all’elaborazione delle proposte di quanto l’unità produttiva poteva fare e al miglioramento delle sue potenzialità. I collettivi di lavoro e gli individui più avanzati insegnavano a quelli più arretrati e li stimolavano a migliorare. Il sistema funzionava (e funzionò egregiamente) finché l’avanzato fu capace di dirigere l’arretrato, di isolare gli imbroglioni, i parassiti e i fautori dell’“ognuno per sé” intrisi ancora della mentalità barbarica del borghese e dell’artigiano, i fautori della direzione coercitiva sugli arretrati senza educazione, della punizione economica degli arretrati come unico o principale mezzo per incitarli a migliorare, dell’attribuzione del potere a chi meglio sapeva sbrogliarsela individualmente, della perpetuazione o addirittura del raffor zamento del ruolo sociale e della rimunerazione individuale dei lavoratori più istruiti, più abili, più capaci, della perpetuazione o addirittura del rafforzamento del carattere di classe delle vecchie divisioni tra lavoratori direttivi e lavoratori esecutivi, tra lavoratori intellettuali e lavoratori manuali, tra uomini e donne, tra anziani e giovani, tra nazionalità, regioni e settori avanzati e nazionalità, regioni e settori arretrati. Il sistema funzionò egregiamente finché l’avanzato fu capace di imprimere a tutta la società un movimento in avanti, teso al miglioramento materiale e intellettuale dell’intera società, all’elevamento della coscienza e dell’istruzione, all’allargamento della partecipazione, alla crescita della fiducia ben riposta nel collettivo e dello spirito di iniziativa e di padronanza dei lavoratori associati sulla loro attività, sulle condizioni della loro vita e su se stessi. Gli incentivi materiali e morali assegnati agli individui e ai collettivi d’avanguardia aiutavano, ma non potevano sostituire lo slancio creato negli individui e nei collettivi dalla coscienza comunista, dalla linea giusta per avanzare verso la società comunista, dall’azione d’avanguardia del partito comunista.

In tutti i paesi socialisti esistevano una serie di indici e di norme sulle relazioni tra quantità dei prodotti e risorse consumate o tempo di lavoro impiegato: esse però servivano principalmente come riferimento, verifica e confronto. Come da noi per le scuole si compilano indici come il rapporto allievi/insegnati, la percentuale dei promossi, il rapporto allievi/superficie calpestabile della scuola, ecc.: indici che servono per raffrontare tra loro le varie scuole e la variazione nel tempo, ma non, salvo che nei desideri malsani dei borghesi più malati di gestione privatistica e “manageriale” delle scuole, per decidere della remunerazione degli insegnanti e dei presidi e neanche del buon andamento delle scuole che per ogni persona di buon senso è dato dal livello della formazione ed educazione degli allievi che escono dalla scuola. I collettivi di lavoro dei paesi socialisti erano legati l’uno all’altro non da rapporti commerciali e neanche dall’ottenimento di prestazioni superiori alle norme e agli indici, ma da un rapporto morale e intellettuale veicolato e impersonato nel partito comunista e nelle organizzazioni di massa. Ognuno doveva dare secondo le sue possibilità, benché la distribuzione dei prodotti agli individui fosse ancora principalmente regolata secondo il criterio “a ognuno secondo la quantità e qualità del lavoro che compie”. Ma questo criterio era soppiantato, in una misura che cresceva man mano che si avanzava verso il comunismo, dal criterio “a ognuno secondo le sue necessità”. Una porzione crescente di servizi e di beni di consumo erano messi a disposizione degli individui gratuitamente o a prezzi che servivano non a “remunerare il produttore”, ma a mantenere il consumo nell’ambito delle disponibilità (come succedeva da noi per le cure sanitarie nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale). A Cuba per migliorare la nutrizione e la salute dei bambini in una certa epoca venne introdotta la distribuzione gratuita del latte alle famiglie. Ci si accorse però che un numero elevato di famiglie sprecava il latte: allora esso venne messo nuovamente in vendita con un prezzo minimo che aveva l’obiettivo di promuovere un uso consapevole e ragionevole. I prezzi attribuiti nominalmente a ogni prodotto, anche a quelli che non venivano  venduti ma consegnati all’ente che li aveva commissionati, servivano a calcolare e confrontare la produttività del lavoro e l’efficienza di impiego delle risorse da parte di collettivi di lavoro di settori diversi. Stalin nel suo scritto Problemi economici del socialismo in URSS, steso tra il 1951 e il 1952 come contributo alla discussione sul Manuale di economia politica dell’URSS che l’Accademia delle scienze dell’URSS stava preparando, fece notare che in Unione Sovietica i prezzi attribuiti ad alcuni prodotti erano del tutto incongruenti: a una tonnellata di grano i pianificatori avevano attribuito un prezzo eguale a quello attribuito a una tonnellata di pane. Ciò portava ad indici privi di alcun valore indicativo e quindi l’attribuzione dei prezzi andava migliorata onde avere indici che servissero al loro scopo. Stando agli indici formulati in base a quei prezzi, sembrava che i collettivi che lavoravano nei mulini, nei trasporti, nella panificazione e nella vendita al dettaglio non dessero alcun contributo alla società e sprecassero risorse. Questo errore dei pianificatori però non aveva impedito che quei collettivi lavorassero e contribuissero al benessere comune. Ora avvenne che, pochi anni dopo, i revisionisti decisero di far dipendere la remunerazione dei collettivi di lavoro dall’“adempimento degli indici” e quindi si dessero a cercare i “giusti prezzi” dei singoli prodotti e addirittura, in una seconda e “più avanzata” fase, a instaurare scambi commerciali tra le unità produttive sulla base di essi. Quello che era stato fino agli anni ’50 un errore dei pianificatori che la vita reale aveva ignorato, venne trasformato in una contraddizione pratica tra collettivi di lavoro che ostacolò il loro lavoro e abbatté il loro morale, che diede il via a mercanteggiamenti e sotterfugi senza fine tra collettivi di lavoro e tra questi e gli addetti al piano: un immondezzaio che protratto nel corso degli anni (le famose “riforme economiche” degli anni ’60 e ’70: la più celebre porta il nome di Kossyghin) fece emergere come capi e dirigenti della società sovietica una schiuma di imbroglioni, intrallazzatori, profittatori, criminali e avventurieri.(7) È in questo contesto che incominciò a formarsi in Unione Sovietica quella rete di criminalità organizzata, la Mafia Russa come dicono ora i media, che assorbì anche molti eredi e nostalgici del passato e molti fautori dell’Occidente capitalista. È questa rete di trafficanti e profittatori che assieme ai dirigenti fautori delle “riforme” alla Kossyghin e alla Andropov formò lungo l’epoca di Breznev (1964-1982) quella razza di briganti che, guidata da Gorbaciov, alla fine degli anni ’80 ha rotto ogni indugio, ha proclamato la privatizzazione dell’apparato produttivo dell’Unione Sovietica e se ne è attribuita la proprietà personale.

 

7. Per il bilancio dell’esperienza dei paesi socialisti in Rapporti Sociali n. 5/6 (1990).

 

 

Lo Stato vero e proprio

La struttura formata dal partito e dalle organizzazioni di massa non fu però nei primi paesi socialisti l’unica struttura di potere, l’unica autorità sociale. Combinate con il partito e le sue organizzazioni di massa vi furono in ogni paese socialista anche altre istituzioni pubbliche apparentemente sotto vari aspetti simili a quelle che esistevano nei paesi capitalisti: un governo, una pubblica amministrazione, una magistratura con propri carceri e tribunali, forze armate statali, polizie e polizie segre te. Queste istituzioni formavano una seconda struttura di potere parallela alla prima. I suoi organi erano largamente e in vari modi combinati e influenzati dalla struttura prima indicata che li permeava con sue istanze e con i suoi commissari politici e che ufficialmente li controllava (in URSS si chiamò Ispezione Operaia). Essi però mantenevano la natura di corpi separati dal resto della società, costituiti da professionisti staccati dai normali collettivi di lavoro, vincolati da disciplina e gerarchia proprie e agivano non in base alla mobilitazione popolare che suscitavano ma alla forza e ai mezzi di cui direttamente disponevano e secondo direttive e ordini provenienti dall’alto. Erano insomma organi statali nel senso tradizionale del termine, come li conosciamo anche oggi in ogni paese. Questa seconda struttura costituiva in ogni paese socialista un accessorio della prima struttura: un accessorio indispensabile, ma pur sempre un accessorio.

La combinazione dei due tipi di strutture di potere sociale fu la forma in cui esistette nei primi paesi socialisti la dittatura del proletariato. Di fronte a ogni problema, ognuno aveva la scelta se rivolgersi all’autorità statale (alla polizia, ecc.) o alla cellula del partito. Essa conteneva in un rapporto di unità e lotta il nuovo e il vecchio: il nuovo che doveva espandersi e il vecchio che doveva morire. Il vecchio era costituito da uno Stato che era ancora uno Stato nel senso tradizionale, ma non lo era già più completamente perché era in un certo senso il “braccio secolare” della struttura del primo tipo, veniva in misura crescente soppiantato da essa ed era vincolato a lavorare secondo le direttive fissate dal partito. Dietro i pubblici poteri, stava la struttura costituita dalle masse popolari associate e in primo luogo dagli operai associati. Si può dire che queste associazioni adempirono nei primi paesi socialisti al ruolo che nei paesi borghesi è svolto dal mondo degli affari e dalle molteplici relazioni che legano l’uno all’altro i capitalisti e i ricchi in una rete (la “società civile”, la Old Boys Network per dirla all’anglosassone) che sta dietro le istituzioni ufficiali, orienta la loro attività e assicura la loro continuità. Tra le due strutture vi era una reciproca compenetrazione: il partito era capillarmente presente in ogni organo statale con le sue cellule, i suoi comitati e i suoi commissari politici e promuoveva il controllo operaio e popolare sull’attività degli organi statali. Lo Stato era presente nel partito 1. di fatto attraverso il corpo dei funzionari di partito che in una certa misura erano dei professionisti e 2. ufficialmente anche con i suoi organi perché le loro funzioni (giustizia, polizia, forze armate, pianificazione, ecc.) riguardavano anche i membri e gli organismi del partito e delle sue organizzazioni di massa.

Il rapporto di unità e lotta tra queste due strutture di potere percorre tutta l’esperienza dei paesi socialisti, trova soluzioni pratiche e temporanee diverse da paese a paese e nel corso degli anni, distingue l’Unione Sovietica dalle democrazie popolari e ogni democrazia popolare l’una dall’altra. I soviet riunivano nello stesso organismo la natura di entrambe le strutture. Balza all’occhio lungo tutta la vita di tutti i primi paesi socialisti una certa timidezza della sinistra a indicare chiaramente come  propria linea la prevalenza della prima struttura sulla seconda che pure fu un dato di fatto durante il periodo di ascesa dei primi paesi socialisti e l’obiettivo  della sostituzione graduale di questa da parte della prima. Solo la Costituzione della RPC del 1975 (corretta dalla Costituzione del 1978 dopo il colpo di Stato di Teng Hsiao-ping e ancora più da quella del 1982 tuttora vigente) proclama apertamente la preminenza della prima struttura.(8) La destra nei primi paesi socialisti e nei corrispondenti partiti comunisti invece si caratterizza costantemente come fautrice della preminenza e del rafforzamento delle istituzioni statali, presentate come istituzioni “di tutto il popolo”, di contro al partito che è una istituzione di classe, dedito a promuovere la lotta di classe. Già negli anni ’40 l’influente membro dell’esecutivo della Internazionale Comunista e presidente del forte partito comunista degli USA, Earl Russel Browder (1891-1973), sostenne apertamente l’attenuazione nel programma del PCUSA e nei paesi socialisti del ruolo del partito di fronte alle istituzioni pubbliche statali. Uno dei punti di rottura di Tito (1892-1980) e dei suoi seguaci con il Comintern nel 1948 fu il ruolo del partito di fronte alle strutture statali: a indicare l’attenuazione del ruolo del partito in Jugoslavia il partito comunista fu trasformato in lega dei comunisti. La Rivoluzione Culturale Proletaria nella Repubblica Popolare Cinese raggiunse il suo punto più avanzato di riforma istituzionale nella formazione della Comune di Shanghai (1967) e nel dibattito sulla generalizzazione dell’istituto delle comuni urbane (che si concluse con il riconoscimento che non esistevano le condizioni interne e internazionali necessarie).

 

8. Costituzione della Repubblica Popolare Cinese in Opere di Mao Tse-tung vol. 25 (Edizioni Rapporti Sociali).

 

Il rapporto di unità e lotta tra queste due strutture di potere emerge chiaramente in relazione alla questione della “legalità socialista” che si pose lungo tutta la vita dei primi paesi socialisti. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre non solo furono aboliti i vecchi tribunali, le loro procedure e tutte le leggi e i codici vigenti, ma vennero esplicitamente indicati il “senso di giustizia delle classi lavoratrici”, la “coscienza rivoluzionaria”, il “sentimento socialista della giustizia” e “l’interesse del governo operaio e contadino” come criteri cui dovevano ispirarsi tutti gli organi di potere al di sopra della lettera di ogni legge (Decreto del Consiglio dei Commissari del popolo sulla Giustizia del 27 novembre 1917, quello sui Tribunali del 30 novembre 1917, ecc.). Successivamente il nuovo Stato via via elaborò e approvò leggi, decreti, norme e regole. Tuttavia in definitiva il partito comunista e le sue organizzazioni di massa (OdM) restarono al di sopra di ogni formalità di legge e della lettera di ogni legge, norma e regola. Gli organi statali dovevano osservare la legge, ma subordinatamente alla direzione del partito e delle sue OdM, cioè nella misura in cui il partito e le sue OdM non davano indicazioni diverse. Ciò era un aspetto essenziale della “dittatura” della classe operaia e delle classi ad essa alleati e permetteva di tener conto della effettiva concreta diversità delle persone e delle circostanze per approfittare di esse per rafforzare in ogni campo della vita sociale la trasformazione verso il comunismo. Consideriamo in dettaglio un caso come esempio.

In linea generale un uomo che dà uno schiaffo o spara a una donna non è la stessa cosa di una donna che dà uno schiaffo o spara a un uomo. In linea generale il  primo episodio è grave perché ribadisce e rafforza un aspetto negativo della vecchia società (la subordinazione delle donne agli uomini). Il secondo episodio può persino essere positivo, anzi molto positivo: l’inizio dell’emancipazione di quella donna dalla subordinazione agli uomini, un incitamento per tutte le donne a liberarsi dalla tutela maschile, un aspetto concreto e particolare di un processo sociale positivo che la società deve promuovere: l’emancipazione delle donne dagli uomini. Anche nei paesi socialisti la legge imparziale ed eguale per tutti puniva la violenza privata. Ma applicare questa legge alla stessa maniera, imparzialmente, a individui diversi (l’uomo e la donna) porta a risultati socialmente negativi, rafforza la subordinazione delle donne e il predominio dei maschi. Ma vi è di più. Proprio per il predominio che i maschi ereditano dalla vecchia società, il maschio gode di condizioni sociali più favorevoli rispetto alla donna per far valere le sue ragioni, per far riconoscere dalla società (dai giudici nell’esempio in esame) che lui ha ragione. Ha maggiore abitudine a trattare affari sociali e a parlare in pubblico, meno pudore a esporre fatti personali e intimi, gode di un pregiudizio sociale favorevole all’uomo (“quando arrivi a casa, batti tua moglie: tu non sai perché, ma lei lo sa”), ha più mezzi per trovare abili difensori e testimoni, maggiori conoscenze e relazioni personali, ecc. Quindi non solo è necessaria la discriminazione positiva a favore della donna, ma in alcuni casi anche la ribellione privata e individuale al maschio deve essere trattata come un fatto principalmente positivo e far sì che l’episodio diventi spunto per la mobilitazione in massa delle donne.

Quanto illustrato con l’esempio vale per molte relazioni della vita sociale e molti casi di essa. Un individuo che fa irruzione nell’abitazione privata di un altro, che si appropria di beni non suoi, che imbroglia un altro, che fa borsanera, ecc. Lo stesso fatto compiuto da individui di condizioni sociali diverse va trattato in modo diverso per conseguire lo stesso risultato: la marcia verso il comunismo. La lotta di classe e la politica devono prevalere sulla lettera della legge.

L’instaurazione dell’eguaglianza di ogni individuo di fronte alla legge (la legge eguale per tutti) ha avuto un contenuto progressivo durante la rivoluzione borghese perché ha abolito i privilegi giuridici di classe e di casta (dei nobili, del clero, del marito sulla moglie, dei genitori sui figli, dei mastri di corporazione sugli apprendisti, dei maschi sulle donne, dei padroni sui dipendenti, ecc.). Essa soprattutto ha messo i borghesi (i capitalisti e i professionisti) sullo stesso piano dei nobili e del clero di fronte all’amministrazione della giustizia, sul piano dei diritti e dei doveri. Ma l’eguale applicazione in tutti i casi della stessa legge nella società borghese assume un contenuto negativo per le classi oppresse; nella società socialista assume un contenuto conservatore e anche reazionario perché tratta alla stessa maniera persone che “si presentano in modo diverso davanti alla legge”. Quindi perpetua e ribadisce le forme di asservimento e di subordinazione sociale ereditate dalla vec chia società. Di fronte alla legge eguale per tutti ed equamente applicata a tutti il ricco ha maggiori opportunità del povero, il capitalista dell’operaio, la persona socialmente ben integrata dell’emarginato, il magistrato o il poliziotto della persona comune, l’uomo della donna, il prete della persona normale, l’adulto del bambino, l’istruito dell’ignorante, l’insegnante dell’allievo, l’uomo perbene dello stravagante, l’abitante del posto del forestiero, chi parla la lingua del posto di chi non la conosce, Berlusconi dei suoi accusatori, ecc.

Occorre prendere atto che l’effetto sociale di uno stesso atto è determinato, oltre che dall’atto in se stesso, dalle circostanze sociali in cui è compiuto e dalla condizione sociale di chi l’ha compiuto. Persino la legislazione borghese tiene in qualche misura conto delle circostanze, come attenuanti o aggravanti. Ma la “eguaglianza della legge” e il dominio assoluto della legge in una società divisa in classi creano il regno dei truffatori (“fatta la legge, trovato l’inganno”). Chi ha maggiori mezzi e relazioni ed è più abile, usa la legge a suo favore e se ne serve per ogni prevaricazione, assolda abili avvocati e convince, anche legalmente, magistrati, periti e testi. I delinquenti, anche responsabili di gravi reati, vengono assolti, se la cavano con poco o niente, o non sono neanche tradotti in tribunale. Quanto più sono determinati, abili e organizzati, quindi quanto più sono socialmente pericolosi, tanto più vanno sul sicuro. Innocenti o persone che hanno violato la legge per necessità, per disperazione o per ignoranza sono invece condannati. Fino a risultati paradossali: una donna che uccide il proprio sfruttatore è un’assassina, il furto di cibo è un reato e il falso in bilancio un’infrazione riparata con una multa, la morte per fame non è un reato di nessuno, in California con la legge “third stroke out” (che la Corte Federale USA ha convalidato) un ragazzo o un nero che per tre volte è colto a rubare una mela in un supermercato può essere condannato all’ergastolo mentre i dirigenti della Enron e di Worldcom, gli inquinatori e gli speculatori sono ricchi e intoccabili cittadini.

La lotta di classe del proletariato contro la borghesia non si combatte con i criteri giuridici la cui instaurazione ha aiutato la borghesia a sostituire la nobiltà e il clero come classe dominante. La borghesia stessa da quando siamo entrati nell’epoca imperialista ha abbandonato l’applicazione imparziale della legge eguale per tutti specialmente nei conflitti politici e di lavoro. Nella Sicilia occidentale nel secondo dopoguerra le associazioni contadine stavano rapidamente facendo sparire la Mafia, tanto che intervenne lo Stato centrale con i suoi carabinieri, poliziotti, preti, notabili e spioni per reprimere le associazioni contadine. La “sicurezza nazionale” e non più la “inviolabilità dei diritti del cittadino” guida l’amministrazione della giustizia e la vita politica delle società borghesi (controrivoluzione preventiva).

Nella vecchia società era normale che i genitori picchiassero i bambini, “serve alla loro educazione”. È una violazione della morale oltre che della legge che un bambino picchi un genitore. Quando in URSS un ragazzino, Pavlik Morozov, denunciò suo padre che cospirava con i kulaki contro il socialismo, i suoi parenti e altri abitanti del villaggio furono talmente indignati che uccisero lui e altri pionieri  che lo sostenevano. La stessa fine fecero molte donne che si ribellarono individualmente ai mariti e alla famiglia. La dittatura della classe operaia lottava contro tutto questo lordume con la mobilitazione delle masse e la lotta di classe, prima che con la legge e la polizia. L’applicazione della legge doveva servire la lotta di classe e la trasformazione della società, non ostacolarle.

Lungo la vita dei primi paesi socialisti il “rafforzamento della legalità socialista” fu invece la bandiera dietro cui si aggregarono i nemici del socialismo. Ma questa legalità in definitiva non era nei suoi effetti sociali meno negativa per le masse popolari e meno favorevole alla conservazione dei diritti acquisiti e dei privilegi ereditati dalla vecchia società solo perché era abbellita con l’appellativo di socialista. I revisionisti moderni puntarono sulla “legalità socialista”, sulla subordinazione anche del partito e delle sue OdM alla legge imparziale ed eguale per tutti, ovviamente fecero anche leva su errori ed eccessi compiuti nella lotta di classe, ingigantendoli e anche inventandoli. Kruscev avviò nel 1956 la sua campagna di massa contro il socialismo denunciando le “violazioni della legalità socialista”. Man mano che ottennero qualche successo in questa loro pretesa, che nella maggior parte dei paesi socialisti la sinistra non contrastò apertamente e sistematicamente, il risultato fu non solo l’indebolimento dei paesi socialisti fino al crollo, ma la creazione del regno della malavita organizzata che la legge la sa usare a proprio vantaggio per mettere a tacere i suoi oppositori. La lotta per la “legalità socialista” e per la subordinazione del partito comunista alla legge fu ed è una delle bandiere della borghesia nella fase di ritorno graduale e pacifico al socialismo. Lo è ancora oggi ad esempio nella Repubblica popolare cinese, ancora dopo il 16° congresso del PCC celebrato nel novembre 2002.

Il rapporto di unità e lotta tra queste due strutture di potere, questa particolarità specifica dei primi paesi socialisti, emerse chiaramente anche nel periodo della loro decadenza. Il revisionismo moderno eliminò indicandole come antidemocratiche le misure di discriminazione positiva, la chiara attribuzione di ogni individuo alla classe sociale di appartenenza e il collegamento tra questa e i suoi diritti politici e civili, la discriminazione contro i nemici di classe. Esso proclamò che la divisione in classi si era già estinta, ridusse i nemici del socialismo agli oppositori politici (i “dissidenti”), arrestò e invertì il processo di sostituzione della prima struttura di potere alla seconda, esaltò l’autonomia e la stabilità della struttura statale “di tutto il popolo”. I revisionisti, pur ammantandosi a volte di altisonanti proclami di senso contrario (del resto Kruscev nel 1961 varò addirittura in pompa magna un piano che avrebbe dovuto guidare l’URSS a costruire in 20 anni nientepopodimeno che la società comunista!), nella pratica presero via via misure che davano preminenza alle istituzioni statali indicate come istituzioni al di sopra delle classi: “di tutto il popolo” come Kruscev proclamò in URSS già nel 22° congresso (nel 1961) e come recita la Costituzione sovietica del 1977 e trasformarono un po’ alla volta il partito e le organizzazioni di massa in associazioni private, “proprietà” dei propri membri chiuse alla partecipazione e alle critiche delle masse. Ma l’indebolimento della  struttura di potere del primo tipo fece emergere sia la mancanza di limiti all’arbitrio della struttura di potere del secondo tipo la cui attività fino allora era stata guidata non tanto da leggi scritte formalmente eguali e neutrali, quanto dall’indirizzo rivoluzionario del partito, sia la sostanziale impotenza dello Stato a governare una società socialista. In essa infatti non esistevano già più gli strumenti di iniziativa e di disciplina sociale propri della società borghese. I dirigenti non erano selezionati, stimolati e disciplinati dall’accumulazione del capitale, dall’arricchimento individuale, dalla concorrenza. Non esistevano tra di essi le molteplici relazioni d’affari, complicità d’interessi e associazioni che nei paesi capitalisti costituiscono la “società civile”. I lavoratori non erano già più sottoposti alla costrizione economica nella misura necessaria ad una società borghese. Non potevano essere licenziati perché il diritto al lavoro era universalmente praticato. Il salario individuale aveva un’importanza ridotta perché alcuni beni essenziali (cibo, abitazione, riscaldamento, energia elettrica, acqua, trasporti collettivi, ecc.) e i servizi di base (istruzione, sanità, ecc.) erano o gratuiti o a prezzi minimi. I revisionisti sentivano tutte queste conquiste del socialismo come una camicia di forza che li soffocava e che rendeva vani tutti i loro sforzi per dirigere secondo le loro vedute. In URSS nel 1989, quando Gorbaciov e i suoi accoliti sciolsero il PCUS, ci si accorse che il partito era ancora il vero tessuto connettivo degli organi statali e del paese e si vide che senza partito lo Stato non funzionava: ogni regione e settore se ne andava per conto proprio, i boss locali cresciuti nel regime revisionista creavano altrettanti “regni autonomi”. Il gruppo di briganti raccolto attorno ad Eltsin dovette sudare sette camicie e giovarsi dell’aiuto degli imperialisti occidentali per costruire un’amministrazione statale unitaria e la cosa non è ancora del tutto compiuta. Rispetto ad essa la rete della criminalità organizzata formatasi ancora in epoca revisionista ha assunto il ruolo che nei vecchi paesi capitalisti era svolto dalla società civile, con il risultato che le relazioni tra i “nuovi” paesi capitalisti e i vecchi accelerano il processo di trasformazione della società civile in società criminale già di per sé in corso in tutti i più progrediti paesi capitalisti. I revisionisti cinesi pare che abbiano imparato la lezione e mantengono ben fermo il ruolo del partito mentre sono impegnati a costruire una borghesia con una sua “società civile”. Abolito o ridotto il ruolo pubblico del partito e delle sue associazioni di massa, lo Stato disponeva come strumento di disciplina sociale solo della violenza: uno strumento troppo rozzo per dirigere in modo efficace una società moderna e del tutto inadatto per dirigerla in modo efficiente. “Bisogna che il posto di lavoro e la casa cessino di essere un diritto e diventino qualcosa che uno deve conquistare”, proclamava già negli anni ’70 un alto dirigente dell’Europa Orientale (il polacco Mieczyslaw F. Rakowski, che sarà primo ministro nel 1989). Nella fase di ascesa dei primi paesi socialisti invece lo Stato, inteso nel senso stretto del termine, poté svolgere e svolse egregiamente il suo ruolo, perché venne sostenuto dal partito comunista e dalle sue organizzazioni di massa e lavorò in conformità al loro orientamento e sotto il loro controllo.

 Alla prova dei fatti il sistema di direzione dei primi paesi socialisti si è rivelato capace di resistere ad ogni tipo di aggressione da parte della borghesia e delle altre classi reazionarie, capace di correggere i propri errori e di dirigere l’attività delle masse popolari a svilupparsi in ogni settore (economico, culturale e civile) con risultati quali non si erano mai visti prima per ampiezza e rapidità. La realtà ha mostrato che i nemici che un sistema di direzione del genere doveva temere, erano principalmente i nemici interni, connessi col perdurare della divisione di classe e della lotta di classe nell’ambito della stessa società socialista: la borghesia specifica della società socialista. Un simile sistema di direzione poteva corrompersi, ma non poteva essere stroncato dai suoi nemici esterni.

Per valutare giustamente la forza intrinseca che la combinazione della loro linea di trasformazione della società e del loro sistema di direzione dette ai paesi socialisti (che li rese resistenti a ogni aggressione dall’esterno), bisogna tener conto anche dei seguenti fatti.

1. I primi paesi socialisti furono diretti da individui che, nella stragrande maggioranza, erano privi di ogni precedente formazione ed esperienza di direzione e di comando.

2. Essi dovettero emarginare e colpire con misure discriminatorie una buona parte delle classi più colte della vecchia società, che avevano maggiore esperienza di organizzazione, di direzione e di comando, maggiori relazioni sociali interne e internazionali e che spesso erano ancora munite di mezzi finanziari ragguardevoli e comunque sempre dotate di un patrimonio culturale con cui ricattavano la nuova classe dirigente e facevano pressioni di ogni genere su di essa. Un ex altolocato o un intellettuale che si riteneva maltrattato aveva nei paesi socialisti ben altri mezzi per farsi valere di quelli che ha un semplice operaio, un cameriere o una casalinga in un paese capitalista, anche il più democratico e progressista.

3. Essi dovettero far fronte a paesi che avevano una organizzazione statale provata da una lunga esperienza e relativamente stabile e una classe dirigente consolidata da una lunga tradizione di dominio.

4. La nuova classe dirigente che si formava nei paesi socialisti era composta (né poteva essere diversamente) da individui che, per la natura stessa del ruolo sociale che svolgevano, inevitabilmente acquisivano alcune caratteristiche dei membri delle vecchie classi dirigenti e dovevano svolgere mansioni, fare attività e adottare costumi e usi in una certa misura analoghi a quelli dei membri delle vecchie classi dirigenti. E ciò tanto più quanto più economicamente e culturalmente arretrato era il paese. Essi erano tanto meno facilmente sostituibili quanto più arretrato era il paese. Le loro condizioni di vita e la loro cultura dovevano essere tanto più distanti da quelle comuni delle masse quanto più arretrato era il paese. Ciò faceva di essi un gruppo sociale relativamente ristretto di individui ognuno dei quali impersonava un certo potere sociale, diventava appetibile bersaglio della borghesia internazionale: sia delle sue pallottole di piombo sia delle sue pallottole zuccherate, era esposto ad aggrapparsi alle sue procedure e ai suoi metodi di direzione, fossilizzarsi in essi e  trasformarsi da promotore dell’emancipazione delle masse in ostacolo all’emancipazione delle masse. Tutti fattori che rendevano maggiore la probabilità che esponenti di questa nuova classe dirigente diventassero i membri della nuova borghesia, specifica dei paesi socialisti, promotori di una linea che consolidava le divisioni di classe ancora sussistenti. La coscienza superficiale che i comunisti avevano, almeno fino alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976) promossa dal Partito comunista cinese diretto da Mao Tse-tung, dei rapporti di produzione nelle società socialiste, facilitò il rafforzamento di questa borghesia specifica delle società in transizione dal capitalismo al comunismo. Le epurazioni che ad ondate colpirono proprio la classe dirigente dei paesi socialisti rispondevano quindi ad una legge generale del socialismo, anche se essa in generale nei primi paesi socialisti venne applicata sotto l’incalzare della necessità, istintivamente, con poca coscienza scientifica e quindi con una notevole misura di confusione ed errori. Le voci diffuse che Stalin all’inizio del ’53 preparava una nuova vasta epurazione del partito e dello Stato, situazione che forse addirittura indusse qualcuno dei massimi dirigenti a lui vicini ad affrettare la sua morte, se riflettessero la realtà, confermerebbero il grande intuito rivoluzionario di Stalin: era comunque quello di cui l’Unione Sovietica aveva bisogno, dopo la pausa nella lotta di classe adottata per far fronte all’aggressione nazifascista, nell’ambito della linea del Fronte Popolare Antifascista decisa dal 7° congresso dell’Internazionale Comunista (1935). È sicuro che i maggiori candidati alla sua successione, Lavrenti Beria e Nikita Kruscev, erano entrambi fautori di una maggiore liberalizzazione del regime nel senso del rafforzamento dei poteri, del ruolo e della stabilità della classe dirigente in sella anziché di una sua nuova epurazione.

La grande forza intrinseca dei primi paesi socialisti è del tutto comprensibile se consideriamo che la concentrazione di energie, risorse, esperienze, conoscenze e informazioni costituita dal partito comunista esteso a tutto il paese e collegato tramite l’Internazionale ai partiti comunisti del resto del mondo, faceva sì che gli operai direttamente o indirettamente (tramite le sue organizzazioni di massa) collegati ad essa avessero un orientamento giusto e lanciassero parole d’ordine giuste a cui ognuno di essi da solo ovviamente non sarebbe arrivato. Ciò introduceva nella larga base della piramide di classi, settori e regioni ereditata dalla vecchia società, un fattore di crescita culturale e civile che sovvertiva la vecchia struttura e le vecchie concezioni. Il partito a sua volta attingeva da ognuno dei membri della sua struttura di base una massa di informazioni cui da solo nessun dirigente sarebbe mai arrivato, per quanto acuto e sperimentato osservatore e concentrava nel partito una conoscenza veritiera, profonda e tempestiva delle necessità, delle aspirazioni, dello stato d’animo e delle capacità delle masse popolari dell’intero paese. Il partito diveniva così in grado di elaborare questa conoscenza alla luce del patrimonio universale del movimento comunista e  di tradurla in linea, obiettivi, metodi e parole d’ordine. Di per se stessa questa struttura collegava tra loro gli operai delle aziende dell’intero paese. Tramite essa gli operai di ogni azienda usufruivano del bilancio e degli insegnamenti delle lotte condotte dagli  operai dell’intero paese, erano informati e in grado di esprimere solidarietà e quindi con ciò sostenere le lotte degli operai dell’intero paese per portare avanti la transizione verso il comunismo. Il meccanismo che compiva questo processo era regolato dal centralismo democratico ed era animato dalla pratica della critica-autocritica-trasformazione e dalla lotta tra le due linee. Esso animò e spinse alla lotta e alla vittoria l’intera classe operaia e le masse popolari in ognuno dei primi paesi socialisti nella loro fase di sviluppo: fino alla seconda metà degli anni ’50 per quanto concerne l’Unione Sovietica e le democrazie popolari dell’Europa Orientale e fino alla fine degli anni ’70 per quanto concerne la RPC.

 

 

7.   Quel sistema di direzione fu efficace solo perché e finché attuò una linea di trasformazione comunista della società.

 

Ciò che fu originale dei primi paesi socialisti, fu proprio la struttura di potere del primo tipo. Ad una visione superficiale essa sembrava consistere solo di una struttura organizzativa (il partito e le sue organizzazioni di massa) infiltrata tramite i suoi organismi di base e i suoi membri in ogni angolo del paese e in ogni settore della società civile e politica. Ma era vero che il partito comunista era solo un’organizzazione direttamente o indirettamente (tramite le sue organizzazioni di massa) presente in ogni ganglio della società? Assolutamente no. La mobilitazione tramite il partito comunista e le sue organizzazioni di massa della classe operaia e delle altre classi e categorie oppresse della vecchia società, era strettamente connessa con la natura dei compiti per cui il partito mobilitava le masse. I borghesi videro in maniera unilaterale soprattutto l’aspetto organizzativo. Restarono stupefatti e ammirati di come i comunisti mobilitavano in ogni campo la massa dei lavoratori e l’intera popolazione a realizzare i compiti indicati dal governo. L’egemonia e il prestigio dei paesi socialisti si manifestavano anche in questo campo. La borghesia provò ad imitarli anche in questo, come già scimmiottava i paesi socialisti con istituti e commissioni per la pianificazione economica e, dall’Italia di Mussolini agli USA di Roosevelt, creava settori di economia pubblica. Keynes predicava l’intervento dello Stato nell’economia e Hitler lo attuava. Gli Stati Maggiori borghesi studiavano le dottrine militari dell’Armata Rossa e gli scritti militari di Mao Tse-tung. Anche la borghesia aveva bisogno, come diceva W. Churchill, di “portare la massa del popolo ad una reale collaborazione con l’onore e gli interessi dello Stato”. Pensava che bastasse comperare uomini di fiducia, indottrinarli e infiltrarli in ogni ganglio della società: beninteso intendendo con ciò i lavoratori e in particolare gli operai. Con i mezzi a sua disposizione e con il prestigio sociale dei suoi esponenti e delle sue istituzioni non fu impossibile alla borghesia imperialista reclutare un gruppo di uomini al suo servizio in ogni azienda, in ogni scuola, in ogni ufficio o reparto, in ogni distaccamento militare o di polizia, in ogni tribunale e in ogni  istituzione. Lo fecero esplicitamente e su grande scala prima il fascismo in Italia e poi il nazismo in Germania. Lo fece il Vaticano con le sue organizzazioni operaie e i suoi sindacati bianchi. Lo fecero i gruppi imperialisti USA nel modo adatto alla tradizione e alle condizioni degli USA, con la grande espansione dei sindacati di regime e con lo sviluppo del FBI. Nel corso degli anni ’20 e ’30 in ogni paese la borghesia cercò di costruire strutture pubbliche e strutture segrete di controrivoluzione preventiva ispirate al modello dei paesi socialisti. Del resto era il modello applicato anche nel passato dal clero in molti paesi: un prete ogni qualche centinaio di persone era bastato a indottrinare, controllare e dirigere la massa della popolazione finché i tempi erano stati tranquilli. Ma qui è il punto: resistevano solo finché le contraddizioni sociali non superavano una certa soglia di antagonismo. La forma di direzione che i primi paesi socialisti avevano inventato, funzionava (e funzionava egregiamente) solo per mobilitare le masse popolari a realizzare i loro stessi obiettivi, conformi ai loro oggettivi interessi di classe. Cercare di usarla per obiettivi contrari agli interessi delle masse popolari non funzionò. Nel caso dei paesi borghesi le organizzazioni capillari create dalla borghesia si rivelarono impotenti proprio nelle circostanze in cui il loro compito era più necessario: quando le società borghesi dovettero affrontare le loro prove più difficili: le crisi e le guerre. Anche nei paesi socialisti, quando la direzione dei partiti comunisti venne assunta dai revisionisti, l’organizzazione comunista si trasformò gradualmente e in una certa misura in un’organizzazione simile a quelle create dalla borghesia imperialista per poi subire la stessa sorte. Tradendo gli interessi di classe degli operai, i revisionisti moderni un po’ alla volta corruppero o demoralizzarono i membri del partito, in particolare gli operai e con questo sgretolarono anche la coesione del partito.

Un conto infatti è una cellula di comunisti, di persone culturalmente d’avanguardia, generose e coraggiose che, sostenute dalla forza sociale concentrata nel partito e nello Stato, mobilitano i loro compagni a risolvere i loro problemi immediati, ad allargare le loro conoscenze e ad elevare la loro coscienza fino a diventare membri attivi consapevoli e a parte intera della società, a comprendere e partecipare alla realizzazione dei compiti socialmente necessari, anche di quelli estranei all’esperienza immediata e diretta degli individui, a migliorare la loro vita, se stessi e le loro relazioni con il resto della società. Tutt’altra cosa è un’organizzazione per quanto capillarmente diffusa di individui che devono convincere e costringere i propri compagni di lavoro o vicini di abitazione a restare sottomessi alla classe dominante e a lavorare e sacrificarsi per servire i suoi interessi e alimentare i suoi privilegi, che devono far credere ai loro compagni di lavoro o vicini di casa che gli interessi della classe dominante sono anche i loro interessi: che “siamo tutti nella stessa barca”. Il compito dei primi è sostenuto e potenziato capillarmente dall’esperienza diretta e immediata di ogni esponente delle masse. Il compito dei secondi è invece smentito e contraddetto capillarmente dall’esperienza diretta e immediata a cui la borghesia non può sottrarre le masse.

 Portare capillarmente le masse, e in primo luogo gli operai, a fare propri e a realizzare con slancio e generosità i compiti della società è una necessità e un’aspirazione della classe dirigente in ogni società in cui la forze produttive sono già collettive. Anche la borghesia lo vorrebbe. Ma la questione è che nei primi paesi socialisti, grazie alla direzione del partito comunista, i compiti, anche i più astratti e universali della società, coincidevano con le necessità e le aspirazioni della classe operaia e fino ad un certo punto anche con quelle del resto delle masse popolari. Quindi fu possibile creare e sviluppare con continuità quella mobilitazione capillare. Ma fu la linea di trasformazione comunista della società seguita dal partito comunista che gli rese possibile mobilitare capillarmente le masse, fu la linea l’elemento decisivo di tutto. Il partito comunista riuscì ad essere un faro attorno a cui via via si aggregarono le masse e che indicò loro la strada che esse effettivamente seguirono, perché la strada che il partito indicava era la strada che esse riconoscevano come la loro e che man mano che la percorrevano si confermava essere la loro.

“In complesso la differenza fra la democrazia borghese e il parlamentarismo da una parte e la democrazia sovietica o proletaria dall’altra consiste in questo: la prima aveva il suo centro di gravità nella proclamazione solenne e pomposa di ogni genere di libertà e di diritti, mentre in realtà non permetteva proprio alla maggioranza della popolazione, gli operai e i contadini, di goderne anche solo in modo relativamente sufficiente. La democrazia sovietica o proletaria, invece, ha il suo centro di gravità non già nella proclamazione di diritti e di libertà per tutto il popolo, ma

 - nella garanzia reale che proprio le masse lavoratrici, che erano oppresse e sfruttate dal capitale, dirigeranno effettivamente lo Stato, si serviranno effettivamente dei migliori edifici e locali per le loro riunioni e i loro congressi, si serviranno delle migliori tipografie e dei più grandi magazzini (riserve) di carta per l’istruzione di coloro che il capitale abbrutiva e trascurava,

- nella garanzia che proprio queste masse realmente (di fatto) si libereranno gradualmente dal giogo dei pregiudizi religiosi, ecc., ecc.

Il lavoro più importante del potere sovietico, che esso deve incessantemente e continuamente proseguire, consiste precisamente nel fare sì che i lavoratori e gli sfruttati godano realmente dei beni della cultura, della civiltà e della democrazia”

(Lenin, Progetto di programma del PC(b)R, 1919, Opere vol. 29, pag. 95)

Organizzazione comunista, linea di trasformazione comunista della società e linea di massa (il metodo di direzione) vanno di pari passo e tra essi la parte decisiva è proprio costituita dalla linea e dal metodo comunisti. Con la linea e il metodo comunisti è possibile creare un’organizzazione che non c’è. Mentre un’organizzazione, pur presente quanto si vuole capillarmente tra le masse (e certamente la borghesia con i suoi  soldi e la sua influenza morale e intellettuale può costruirne di capillari), che promuove e impone obiettivi e scopi contrari agli interessi e alle aspirazioni delle masse, prima o poi fallirà. I suoi membri si troveranno isolati dalle masse, oppure subiranno essi stessi l’influenza delle masse; si trasformeranno in poliziotti, spie e assassini odiati dalle masse oppure non obbediranno più alle direttive e alle sollecitazioni che ricevono dall’alto. Questa fu l’esperienza delle organizzazioni pubbliche fasciste e naziste con cui la borghesia scimmiottò i partiti comunisti e cercò di controllare e dirigere le masse popolari. I revisionisti moderni hanno confermato con la loro triste fine la stessa legge: essi portarono nei primi paesi socialisti i partiti comunisti, di cui essi avevano conquistato la direzione, a trasformarsi in partiti incapaci di orientare e mobilitare le masse e odiati dalle masse. Solo il baratro di barbarie di ritorno in cui le ha precipitate la “restaurazione del capitalismo ad ogni costo e con ogni mezzo” attuata dopo il 1990 ha in una qualche misura negli ex paesi socialisti dell’URSS e dell’Europa Orientale riabilitato agli occhi delle masse popolari i gruppi revisionisti, come dimostrano i loro recenti successi elettorali.

La capacità di direzione del partito comunista e delle sue organizzazioni di massa era quindi strettamente connessa con il compito di trasformazione della società che il partito perseguiva.

Infatti nel periodo della sua ascesa, in ogni paese socialista ogni rapporto sociale venne sottoposto a verifica, niente fu sottratto per principio alla critica e alla trasformazione. Ogni ostacolo alla realizzazione del maggior benessere materiale e morale delle masse popolari frapposto dalla proprietà privata delle risorse economiche e intellettuali della società e dalla tradizione venne rimosso o limitato. I redditi non da lavoro vennero limitati o del tutto aboliti. L’obbligo a svolgere un lavoro socialmente riconosciuto come necessario o almeno utile divenne universale. Già nella Costituzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa del 1918 era dichiarato esplicitamente il “servizio generale obbligatorio del lavoro per tutte le persone di età compresa tra 14 e 50 anni”. Il lavoro divenne l’unica fonte e giustificazione del reddito individuale. In questo modo vennero inaridite le fonti principali della criminalità: sia quelle legate al bisogno individuale sia quelle legate all’avidità di ricchezza personale e alla volontà di sottrarsi al proprio contributo di lavoro. Gran parte dei comportamenti asociali ereditati dalla vecchia società divennero recuperabili: il reinserimento sociale dei criminali cessò di essere un’ipocrisia. “Chi non lavora non mangia” divenne un criterio universalmente e capillarmente praticato e imposto sotto il controllo onnipresente delle masse. L’inserimento di ogni individuo nella società divenne cura normale della società verso ogni individuo, senza aspettare che la sua esclusione diventasse fonte di comportamenti asociali e criminali. L’eliminazione dell’analfabetismo, l’accesso all’istruzione superiore, l’emancipazione delle donne, l’eliminazione dell’emarginazione sociale e della discriminazione razziale e nazionale, la partecipazione al patrimonio culturale della società, alle attività sociali e alla loro gestione raggiunsero livelli mai prima raggiunti in nessun paese.

 La discriminazione positiva divenne un criterio ampiamente praticato: ovunque l’accesso a un ruolo sociale o a una scuola, o una promozione erano per forza di cose limitati, furono messe in vigore misure che miravano a promuovere proprio i membri delle vecchie classi oppresse (operai, contadini), i membri delle minoranze nazionali e delle nazioni più arretrate e oppresse, le donne: in modo da correggere le ingiustizie che i meccanismi economici e sociali ereditati dalla vecchia società perpetuavano. Il lamento delle vecchie classi dirigenti perché i loro rampolli erano posposti ai figli degli operai e dei contadini fu una costante in ogni paese socialista. La rivoluzione culturale attuata in URSS (1927-1932) fu un’applicazione sistematica di discriminazioni positive nell’accesso alle istituzioni educative e dotò l’URSS di una larga schiera di tecnici, di uomini colti e di dirigenti di origine operaia e contadina, spesso addirittura operai o contadini che i loro collettivi di lavoro sceglievano perché si staccassero dalla produzione e frequentassero gli istituti di cultura e le università o svolgessero mansioni dirigenti.(9)

 

9. Progetto di Manifesto Programma pubblicato dalla Segreteria Nazionale dei CARC (1998) cap. 1.7. Ora nel Manifesto Programma del (nuovo) Partito comunista italiano, Edizioni Rapporti Sociali 2008, cap. 1.7. pp. 82-89.

 

I rapporti di produzione comprendono

1. la proprietà delle forze produttive, proprietà giuridica o comunque il potere di disporne a proprio giudizio;

2. i rapporti tra gli uomini nella produzione: le divisioni tra lavoro esecutivo e lavoro di direzione e organizzazione, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra donne e uomini, tra giovani e adulti, tra campagna e città, tra razze, nazioni, regioni e settori arretrati e razze, nazioni, regioni e settori avanzati, tra produzione di beni e servizi e pubblica amministrazione, tra lavoro operaio e lavoro impiegatizio, tra piccole e grandi aziende, tra i diversi settori produttivi, tra lavoro semplice e lavoro qualificato;

3. la distribuzione del prodotto tra gli individui, tra le unità produttive e per il consumo collettivo (i rapporti di distribuzione).

Nei paesi socialisti nei quali la proprietà privata individuale dei mezzi di produzione è già stata per l’essenziale abolita, la borghesia è per l’essenziale costituita dai dirigenti del partito, delle organizzazioni di massa, dello Stato, delle unità produttive e delle altre istituzioni pubbliche che si oppongono ai passi in avanti possibili nella trasformazione in senso comunista dei tre aspetti dei rapporti di produzione.

La messa in opera di tutte queste trasformazioni fu ovviamente graduale e per tappe. Essa procedette con velocità diversa a seconda del livello di sviluppo della lotta di classe e del grado di sviluppo culturale dei paesi, delle zone e dei gruppi sociali. Il metodo di direzione, chiamato successivamente da Mao “linea di massa”, implicava che il partito mobilitasse le masse a realizzare  di tappa in tappa le misure progressive che le masse per loro esperienza riconoscevano come giuste. Il partito formulava queste misure elaborando l’esperienza delle masse e le proponeva alle masse propagandandole, dimostrandone l’efficacia con esperienze-tipo e altre iniziative in modo che le masse le facessero proprie e le generalizzassero. Spesso generalizzava esperienze d’avanguardia compiute da settori avanzati delle stesse masse, additandoli come esempi: basti pensare ai “sabati comunisti” esaltati da Lenin (La grande iniziativa, luglio 1919) e al ruolo svolto nella RPC dai contadini di Tachai e dagli operai di Taching (Opere di Mao Tse-tung).

Le prime misure concrete con cui la classe operaia portò avanti la trasformazione della società furono in gran parte dettate dai bisogni immediati esistenti nel momento in cui la classe operaia prese il potere: fare fronte con misure concrete, sulla base delle risorse esistenti e delle capacità organizzative e amministrative che la classe operaia e le masse popolari avevano, ai bisogni immediati individuali e collettivi delle masse popolari, soddisfarli nella misura maggiore possibile, combinare la soddisfazione dei bisogni immediati con la creazione delle condizioni necessarie alla riproduzione allargata e alla difesa, adottando a questo fine i sistemi e le misure che più valorizzavano e sviluppavano la creatività e l’iniziativa delle masse popolari, che favorivano la loro mobilitazione e la loro organizzazione.(10)

Le memorie dell’epoca, perfino quelle scritte da anticomunisti, i racconti dei superstiti del periodo di ascesa dei primi paesi socialisti, la letteratura e i film di quegli anni, i giornali, ecc. tutto testimonia la grande, entusiastica, generosa e capillare mobilitazione delle masse popolari per trasformare il mondo e se stesse. Fu questo slancio di massa che seppero suscitare e la direzione che seppero dare ad esso che permisero ai partiti comunisti dei primi paesi socialisti di far compiere a questi paesi quei progressi miracolosi in campo economico e culturale che la borghesia imperialista invidiava e cercava di soffocare e nascondere e che per alcuni decenni spronarono le classi e i popoli oppressi di tutto il mondo a lottare per instaurare anch’essi il socialismo.(11)

 

10. K. Marx, Critica al Programma di Gotha (1875).

11. Letteratura disponibile:

da La Voce del (nuovo)PCI – www.nuovopci.it

n. 2              Il ruolo storico dell’Internazionale Comunista - Le conquiste e i limiti

n. 9 e 10     L’ottava discriminante

n. 10            L’attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo

n. 12            La Rivoluzione d’Ottobre e il 50° anniversario della morte di Stalin

 

8.   Perché e come i primi paesi socialisti presero la via del logoramento che li ha condotti al crollo.

Perché e come i primi paesi socialisti hanno preso la via del logoramento che li ha condotti al crollo? Perché i comunisti non seppero scoprire e indicare la linea per condurre avanti la rivoluzione nei paesi socialisti oltre i risultati raggiunti e per sostenere efficacemente la rivoluzione socialista nei paesi imperialisti e la rivoluzione di nuova democrazia nei paesi arretrati oppressi dall’imperialismo. Fu, per riprendere le espressioni del Manifesto del partito comunista del 1848, l’inadeguatezza dei comunisti a “conoscere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario” (cioè l’inadeguatezza della loro concezione del mondo o del loro lavoro di inchiesta e di elaborazione) ciò che impedì che essi continuassero a “spingerlo in avanti”. A livello mondiale nel 1945, alla fine della seconda guerra  mondiale, essi erano convinti, come lo era tutta la borghesia, che nei paesi capitalisti sarebbe ripresa la grande crisi che era terminata con la guerra e contavano che essa avrebbe portato al crollo dei paesi capitalisti e avrebbe spinto le masse popolari dei paesi imperialisti alla rivoluzione socialista. Quindi sottovalutarono il ruolo dell’iniziativa soggettiva rivoluzionaria. Per quanto riguarda l’Unione Sovietica e i paesi socialisti dell’Europa Orientale, i comunisti non seppero raccogliere l’allarme lanciato da Stalin nel 1952 con l’opuscolo Problemi economici del socialismo in Unione Sovietica sull’urgenza di affrontare le contraddizioni che si manifestavano in Unione Sovietica e negli altri paesi socialisti. Essi erano convinti che le conquiste realizzate dai primi paesi socialisti fossero diventate irreversibili con la vittoria nella guerra contro l’aggressione dei nazifascisti e con la creazione di un grande campo socialista. Erano inoltre convinti che i contrasti di classe in Unione Sovietica si fossero attenuati. Abbiamo già visto che questa tesi aveva trovato espressione già nella Costituzione del 1936 e nello Statuto del partito approvato nel 18° congresso del 1939. Essa per la sinistra significava una pausa nella lotta di classe imposta dalla necessità di rafforzare all’interno e internazionalmente l’unità contro il nazifascismo. Era l’applicazione specificamente sovietica della linea del Fronte Popolare Antifascista approvata dal 7° congresso dell’Internazionale Comunista (1935). Ma ebbe anche l’inevitabile effetto collaterale di rafforzare la destra nel partito, la borghesia nella società e l’infiltrazione delle agenzie imperialiste nell’URSS. La collaborazione con i paesi capitalisti “democratici” (gli USA e la Gran Bretagna) durante la guerra indebolì in Unione Sovietica le discriminazioni di classe e permise e impose la creazione di molteplici legami tra la borghesia imperialista e i dirigenti dell’Unione Sovietica (tra cui era annidata la nuova borghesia tipica dei paesi socialisti).(12) L’esito vittorioso della guerra contro il nazifascismo e la formazione del campo socialista dopo la guerra hanno dimostrato che la linea del Fronte Popolare Antifascista era giusta. Ma una volta finita la guerra era necessaria la ripresa su grande scala della lotta di classe e quindi anche delle discriminazioni di classe - necessarie finché la divisione di classe non si è effettivamente estinta. Stalin aveva del resto chiaramente compreso ed enunciato la legge che i contrasti di classe si sarebbero ancora acuiti man mano che l’Unione Sovietica avanzava verso il comunismo. Ma, come dimostrano già la discussione sulla Costituzione del 1936 e il dibattito del 18° congresso (1939), la sinistra nei partiti comu nisti, PCUS compreso, non aveva una chiara coscienza della natura della nuova borghesia che si formava inevitabilmente negli stessi paesi socialisti. Essa aveva occhio solo per la vecchia borghesia proprietaria anche giuridica dei mezzi di produzione e per le sue manifestazioni residuali in campo economico e culturale. Aveva quindi una comprensione inadeguata della natura dei rapporti di produzione che venne solo successivamente chiarita da Mao Tse-tung, proprio sulla base dell’esperienza sovietica. In Unione Sovietica gli appelli di Zdanov (1946-1947) alla ripresa della lotta di classe non diventarono una linea di partito anche a causa della sua improvvisa morte: verosimilmente un risultato dei legami che gli imperialisti USA avevano creato nell’URSS durante la guerra e potenziato subito dopo inglobando i servizi segreti nazisti. Lo scontro che vi fu proprio nei primi anni ’50 in Unione Sovietica sul Manuale di economia politica era un sintomo della necessità di un avanzamento radicale dei comunisti nel campo teorico.(13)

 

12. Dove è la borghesia nella società socialista? in Rapporti Sociali n. 22 (1999), pag. 26.

13. Note di lettura di “Problemi economici del socialismo in URSS” e Note di lettura del “Manuale di economia politica dell’URSS” in Opere di Mao Tse-tung vol. 16, 17, 20 (Edizioni Rapporti Sociali).

 

 

In queste condizioni la destra ebbe buon gioco. Essa sosteneva per i paesi imperialisti una via di riforme e di conquiste graduali (le “riforme di struttura”), già anticipata negli anni ’40 da Browder per gli USA. Per i paesi socialisti la destra sosteneva l’adozione di misure di direzione sociale affini a quelle praticate dalla borghesia: l’attenuazione o l’occultamento della lotta di classe, l’eliminazione delle discriminazioni positive di classe che invece devono essere usate finché la divisione in classi non è realmente estinta, l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge (cioè leggi eguali per cittadini ancora diseguali), lo Stato di “tutto il popolo”, il partito aperto a tutto il “popolo” sulla base della sola condivisione del programma politico, l’autonomia finanziaria delle aziende e rapporti commerciali tra di esse, il risultato finanziario come principale criterio di valutazione dell’attività delle aziende, gli incentivi economici individuali come principale motore dell’iniziativa individuale, la restaurazione dei redditi non da lavoro, ecc.. Essa inoltre sosteneva l’apertura illimitata dei paesi socialisti ai capitali (prestiti) e al commercio dei gruppi imperialisti. Per i paesi coloniali la destra sosteneva l’abbandono della rivoluzione di nuova democrazia e il passaggio alle condizioni di paesi semicoloniali sotto la direzione della borghesia nazionale, della borghesia compradora e della borghesia burocratica. Il ricatto atomico esercitato dagli imperialisti USA con la distruzione di Hiroshima e Nagasaki (1945), la minaccia della guerra chimica e batteriologica messa dagli stessi in opera in Cina e in Corea (1950-1953) e la corsa al riarmo (creazione della NATO, ecc.) lanciata dagli stessi sostennero l’azione interna della destra. Nelle sue intenzioni la convergenza graduale dei due sistemi sociali capitalista e socialista (di cui il celebre fisico A. Sakharov fu dichiarato e tristo portabandiera) doveva diventare la linea guida delle relazioni internazionali. In realtà il successo dei revisionisti moderni nei partiti comunisti diede invece inizio al periodo di decadenza dei paesi socialisti che è sfociato nel crollo a cavallo del 1990.

Alcuni che si credono molto di sinistra sostengono che i paesi del campo socialista sono stati abbattuti dai gruppi e Stati imperialisti. Essi sostengono che sarebbe denigrare i paesi socialisti sostenere la tesi che sono crollati a causa dell’operazio ne di corruzione e corrosione condotta al loro interno per decenni dai revisionisti moderni che, a loro volta, sono riusciti a prevalere nella direzione dei partiti comunisti a causa dei limiti della sinistra degli stessi partiti (che non seppe dare risposte adeguate ai compiti che la situazione poneva all’ordine del giorno).

A parte che lo studio degli avvenimenti dimostra questa seconda tesi, ricordiamo che dopo la sconfitta della Comune di Parigi (1871), Marx ed Engels denunciarono sì la viltà e la ferocia della borghesia, ma attribuirono non a questo, ma ai limiti ed errori dei comunardi la sconfitta della loro eroica impresa (Guerra civile in Francia). Non per questo denigrarono la Comune, bensì trassero da quella esperienza indispensabili insegnamenti per la prima ondata della rivoluzione proletaria. Da materialisti dialettici, essi sapevano che le cause interne e non quelle esterne sono in generale il principale fattore dello sviluppo di ogni cosa.

La prima ondata della rivoluzione proletaria, di cui i primi paesi socialisti sono stati la più grande creatura, si è arenata di fronte ai compiti posti dalla sua prosecuzione dopo le grandi vittorie conseguite nei primi decenni. In un certo senso come la Comune di Parigi, una volta conquistata Parigi, venne meno di fronte al compito di inseguire e liquidare la borghesia francese che si era ritirata per concentrarsi e da Versailles preparare il contrattacco.

 

 

9.   Conclusioni: i principali insegnamenti dei primi paesi socialisti per la seconda ondata della rivoluzione proletaria.

 

Nonostante siano crollati, i primi paesi socialisti hanno lasciato un segno profondo nel mondo e posto basi indelebili per il nostro futuro.

In primo luogo hanno dimostrato praticamente, su grande scala, per un periodo relativamente lungo di tempo e in condizioni differenti, che gli operai e gli altri lavoratori possono associarsi, organizzarsi e dirigersi senza capitalisti e senza padroni. Già oggi la società attuale, se ben consideriamo, non starebbe in piedi senza il lavoro volontario e zelante di milioni di persone che o non sono per niente retribuite per esso (tipico caso le madri, le casalinghe, gli attivisti sindacali e politici dei lavoratori) o sono retribuiti in misura che non ha niente a che vedere con lo zelo e la passione con cui svolgono il loro lavoro.(14) Ma in effetti i lavoratori non hanno ancora sviluppato in massa le attitudini necessarie per fare a meno dei padroni, né possono svilupparle finché non incominciano a farne a meno. Millenni di storia  hanno radicato la convinzione che senza i padroni i lavoratori non sono capaci di organizzarsi e di produrre. I padroni e i loro preti non mancano di ribadire il ruolo dei padroni e conferirgli la sacralità dell’ordine sociale “naturale” voluto dal loro Dio. E in effetti per millenni la divisione di classe e lo sfruttamento hanno avuto un ruolo progressivo: le società che non li hanno adottati sono rimaste arretrate e sono in definitiva scomparse. Ciò ha radicato negli uomini e nelle donne una convinzione tanto profonda che riesce difficile staccarci da essa anche ora che la divisione in classi non corrisponde più alla necessità, ma addirittura è diventata una camicia di forza che ci soffoca, ci impedisce di usare le grandi forze produttive disponibili per migliorare le condizioni materiali e spirituali di esistenza e anzi ne fa uno strumento di distruzione e di maggiore oppressione. Si tratta di un’abitudine radicata quanto la discriminazione contro le donne o le divisioni nazionali di cui i primi paesi socialisti hanno parimenti dimostrato su grande scala il carattere arretrato e residuale, nonostante le benedizioni con cui i preti le consacrano.

 

14. Progetto di Manifesto Programma pubblicato dalla Segreteria Nazionale dei CARC (1998) cap. 5. Ora nel Manifesto Programma del (nuovo) Partito comunista italiano, Edizioni Rapporti Sociali 2008, cap. 5. pp. 237-247.

 

In secondo luogo i primi paesi socialisti hanno avuto una funzione positiva sull’evoluzione della lotta di classe in tutto il mondo. Essi esercitarono per decenni una pressione costante sulle classi dominanti di ogni paese e un incitamento costante sulle classi e sui popoli oppressi di tutto il mondo cui dettero ispirazione e sostegno solidale. Negli anni ’30, mentre i paesi capitalisti erano in preda a una crisi devastante, l’URSS, che pure si era costituita in un paese sconvolto dalla guerra e comunque arretrato ed era sottoposta a continue e multiformi aggressioni, compì grandi progressi in ogni campo nell’assicurare una vita dignitosa a tutti quelli che lavoravano e nel diffondere il progresso culturale, sanitario, ecc. Sotto la pressione dei primi paesi socialisti e del movimento delle masse popolari che essi con il loro esempio e la loro linea promuovevano, la borghesia imperialista dovette impegnarsi a dimostrare praticamente ai lavoratori che “nel capitalismo si stava meglio che nel socialismo”. Essa dovette fare concessioni di ogni sorta che cambiarono profondamente le condizioni materiali e spirituali delle masse popolari. Sono le conquiste che oggi la borghesia imperialista cerca di eliminare per creare condizioni soddisfacenti per la valorizzazione del suo capitale. È il grande progresso culturale che, perfino in questi anni in cui il movimento comunista, in quanto movimento consapevole e organizzato, è estremamente debole, ha portato alla grande mobilitazione antimperialista del 15 febbraio contro i gruppi imperialisti USA che vogliono aggredire l’Iraq. Ancora oggi il gruppo di neonazisti raccolti nell’amministrazione Bush difende la propria politica di guerra preventiva in tutto il mondo sostenendo che i gruppi imperialisti non devono permettere che sorga nel mondo un avversario temibile e onnipresente come lo furono l’URSS e il campo socialista.

In terzo luogo i primi paesi socialisti hanno dimostrato la superiorità del comunismo sul capitalismo. Durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, sotto la direzione dei partiti comunisti le masse popolari hanno sconfitto la borghesia imperialista, hanno respinto tutti i tentativi di rivincita e di restaurazione e le aggressioni della borghesia imperialista e hanno costruito paesi socialisti invincibili e capaci di realiz zare grandi progressi, la cui influenza si irradiava in tutto il mondo e infondeva forza, fiducia e slancio nelle masse popolari di ogni paese: la borghesia imperialista ricorreva a ogni mezzo per difendersi dalla loro influenza sulle masse popolari. Le sconfitte subite dagli imperialisti USA in Corea, alla Baia dei Porci (Cuba) e in Vietnam restano nella memoria dei proletari non meno che in quella dei borghesi. Solo dopo che nei partiti comunisti sono prevalsi i revisionisti moderni con le loro soluzioni borghesi dei problemi della società socialista e i partiti comunisti hanno preteso di dirigere le società socialiste non più come i veri comunisti le avevano dirette (partito comunista, organizzazioni di massa, linea di massa), ma come i borghesi dirigono i propri dipendenti (le relazioni industriali), le masse popolari (le politiche macroeconomiche e la politica generale) e se stessi (democrazia borghese e guerre interimperialiste), i paesi socialisti divennero instabili, si protessero con barriere e polizie dall’influenza della borghesia: i rapporti di forza si erano invertiti.

In quarto luogo i primi paesi socialisti hanno gettato una nuova luce sulla natura e sul ruolo del partito comunista. Essi hanno mostrato che per essere membro del partito comunista non bastano le tre condizioni indicate all’inizio del secolo XIX dai bolscevichi (condividere il programma politico del partito, far parte di una delle sue organizzazioni, sostenere economicamente il partito con i propri mezzi e le proprie risorse). Ogni membro del partito comunista deve anche essere disposto ad assimilare la concezione materialista-dialettica del mondo e ad adottare il metodo materialista-dialettico di operare e di pensare (centralismo democratico, critica-autocritica-trasformazione, lotta tra le due linee nel partito, linea di massa).

In quinto luogo i primi paesi socialisti hanno mostrato dove sta la borghesia nei paesi socialisti. Lenin aveva parlato a ragione di un “capitalismo senza capitalisti” che perdurava nel socialismo. L’esperienza ha mostrato che più esattamente bisognava dire che persisteva un “capitalismo senza i vecchi capitalisti”, che rapporti di produzione capitalisti sopravvivevano mentre contro di essi si sviluppavano i nuovi rapporti comunisti e che la lotta tra i due rapporti era impersonata dalla lotta tra classi specifiche della società socialista. La lotta tra le due vie, tra le due classi e tra le due linee è una legge di tutta la fase socialista dell’umanità.

In sesto luogo i primi paesi socialisti hanno lasciato un patrimonio di esperienze a cui possiamo e dobbiamo attingere per comprendere come bisogna fare e come non bisogna fare, esempi positivi ed esempi negativi per la prossima seconda ondata nella rivoluzione proletaria. Per questo è indispensabile che i gruppi e gli organismi che lavorano per la rinascita del movimento comunista studino a fondo la loro esperienza. I primi paesi socialisti hanno tracciato una strada che nessuna guerra preventiva della borghesia imperialista e nessuno scongiuro dei suoi preti potranno cancellare. Oggi sta a noi comunisti assimilare l’insegnamento dei primi paesi socialisti e usarlo, come i dirigenti della prima ondata della rivoluzione proletaria assimilarono e usarono l’insegnamento della Comune di Parigi.

Marco Martinengo

 

 

 

 

Sui primi paesi socialisti

 

Racconti e saggi

L'era di Stalin di Anne Luise Strong, Edizioni Rapporti Sociali

Come fu temprato l'acciaio di Nicolas Ostrovski, Edizioni Rapporti Sociali

Poema pedagogico di Anton Makarenko Edizioni Rapporti Sociali

Palazzi il lunedì di Sheila Fitzpatrick, Edizioni Rapporti Sociali

Storia del Partito Comunista (bolscevico) dell'Unione Sovietica. Breve corso di G. Stalin, Edizioni Rapporti Sociali

 

Opuscoli

La Rivoluzione d'Ottobre e alcuni suoi insegnamenti attuali, Edizioni Rapporti Sociali

Rivoluzione ed emancipazione della donna in Cina, Edizioni Rapporti Sociali

 

Film

La fabbrica aperta

 

Articoli teorici

 

da Rapporti Sociali

n. 3  Osservazioni su questioni di economia relative alla discussione del novembre 1951 di J.V. Stalin.

n. 5/6 Il crollo del revisionismo moderno

n. 5/6 Per il bilancio dell'esperienza dei paesi socialisti

n. 7 Ancora sul bilancio dell'esperienza dei paesi socialisti

n. 8 La restaurazione del modo di produzione capitalista in Unione Sovietica

n. 11 Sull'esperienza storica dei paesi socialisti

n. 19 Per un bilancio dell'esperienza di costruzione del socialismo

n. 22 Critica a "Per una discussione sull'esperienza della costruzione del socialismo"

n. 23/24 Le conquiste pratiche realizzate dal movimento comunista nel periodo di attività dell'Internazionale Comunista

n. 23/24  Il revisionismo moderno

n. 23/24 A 50 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese

 

da La Voce

n. 2 Il ruolo storico dell'Internazionale Comunista - Le conquiste e i limiti

n. 9 e 10 L'ottava discriminante

n. 10 L'attività della prima Internazionale Comunista in Europa e il maoismo

n. 12 La Rivoluzione d'Ottobre e il 50° anniversario della morte di Stalin